Veramente io avevo previsto – come evento auspicabile e utile – una sospensione di dieci anni, non di una settimana.
E per quali motivi?
Glielo spiego citando parola per parola quanto avevo scritto allora. La sospensione era necessaria – scrissi testualmente – “preso atto della incapacità di questo mondo di riformarsi, della sua enorme capacità di corrompere la morale dei giovani, della sua potente forza diseducativa, del fatto che in gran parte era controllato da personaggi molto discutibili, che creava grandi spese pubbliche per sicurezza, manutenzione degli impianti, trasporti, che era dominato da insuperabili conflitti di interesse, che il controllo televisivo dello stesso era diventato quasi totalmente privato”. La misura di dieci anni mi fu ispirata da Tacito che racconta che quando a Pompei si verificò una grande rissa tra i tifosi locali e quelli di Nocera in una gara di gladiatori del 59 d.C. l’anfiteatro di Pompei fu squalificato appunto per dieci anni.
Tutte considerazioni convincenti, ma che all'epoca potevano sembrare eccessive.
Indubbiamente mentre scrivevo quelle parole provocatorie mi pareva di esagerare. Ma quello che sta succedendo e quello che si ascolta e si legge in questi giorni, conferma che erano giuste, che esprimevano l’unica via d’uscita realistica. Questo calcio, per me, va sospeso a tempo indeterminato, sciolto, liquidato e rifondato su basi profondamente nuove. Non dico questo solo per l’atroce morte di Filippo Raciti ed il ferimento di altri agenti di polizia (in manifestazioni di massa, incidenti mortali possono sempre succedere). Né perché non di incidente si tratta ma di omicidio volontario realizzato nell’ambito di “un’imboscata da guerriglia organizzata”. Né perché anche dopo l’assassinio di Raciti, in tante città, le squadre di Ultrà hanno rilanciato i loro messaggi criminaloidi (sicché non è accettabile la lettura minimale di chi, come Garrone, parla di poche centinaia di delinquenti). Né perché ha ragione il sindaco di Catania quando parla di fenomeni degenerativi che vanno oltre il calcio ed oltre il disagio delle periferie (“Vuol dire che questo non è più un fatto che riguarda quattro scalmanati, non è più la guerra degli ultrà alle società calcistiche che non cedono ai ricatti o alle forze dell’ordine che sono il nemico giurato. Vuol dire che c’è un malessere più grave e generalizzato…. Su questo dobbiamo riflettere e darci subito da fare”).
Questi motivi non sarebbero già di per sé validi per dire che questo calcio va liquidato e rifondato?
Certamente possono esserlo. La guerriglia urbana programmata degli Ultrà di Catania è un fatto gravissimo. Ma purtroppo gli atteggiamenti e le parole dei “padroni” del calcio sono, se possibile, un segnale persino peggiore. A dimostrare quanto sia doverosa la fine di questo calcio non sono io, sono loro, con le loro parole ed i loro atteggiamenti. Ancora una volta questi personaggi hanno dato la dimostrazione quasi matematica che con il calcio nelle loro mani non si va da nessuna parte.
Lei è da tempo che va scrivendo queste cose.
E' vero, scrivo queste cose da anni sulla base di analisi molto serie della degenerazione morale, dirigenziale, economica, finanziaria, di questo folle mondo. Per quanto mi riguarda non ho atteso il morto, né Calciopoli per denunciare le sue degenerazioni. Non sono bastate le crisi finanziarie drammatiche di tante società e la ricerca affannosa di aiuti di Stato e di trucchi contabili di sopravvivenza, per indurli a un minimo di riflessione autocritica. Non è bastato l’intervento della UE prima a gamba tesa e poi addolcito. Non è bastato il verminaio di Calciopoli esorcizzato da una giustizia sportiva scandalosa. Non è bastata la continua diminuzione degli spettatori. Non è bastato essersi ridotti a campionati scombussolati senza interesse, senza passione, senza gioia ma solo con la violenza. Mai un pensiero autocritico, mai uno sforzo di autoregolamentazione, mai un atto di umiltà, mai un gesto di collaborazione con gli enti responsabili per conto della collettività del buon funzionamento dello sport. Sempre e solo arroganza, supponenza e irresponsabilità. Loro, gli assassini del calcio, loro i mandanti morali (e qualche volta, si dice, pratici) degli Ultrà, loro incapaci di dare un segnale di resipiscenza neanche di fronte alla tragedia di Catania. Loro la testimonianza vivente della verità delle parole di Leopold von Roepke: “Non è cecità, non è ignoranza quella che manda alla rovina uomini e Stati. Non a lungo resta loro celato dove li condurrà la strada imboccata. Ma in essi è un impulso, favorito dalla loro natura rafforzato dall’abitudine, cui non si oppongono e che li trascina in avanti, finché possiedono ancora un residuo di vita… I più vedono la propria rovina di fronte a sé, eppure vi si gettano a capofitto”.
In questo quadro si inserisce a puntino la famosa ’intervista del presidente Antonio Matarrese. Secondo lui, il calcio non deve essere sospeso. Così come non è stata sospesa la Fiat quando è entrata in crisi. E chi sostiene questa tesi è un esaltato o un irresponsabile.
Quell'intervista è una offesa non solo al sentimento civile e morale degli italiani, ma anche alla loro intelligenza. Anche volendo accettare quel paragone del tutto improponibile, bisognerebbe spiegare a Matarrese che la Fiat si è ripresa perché ha cambiato totalmente la classe dirigente; ha cancellato le abitudini regali e imperiali e ha ricominciato, con grande umiltà, a fare buone automobili; ha rinnovato la gamma prodotti; ha risanato le finanze vendendo tanti gioielli e non barcamenandosi tra aiuti di stato e trucchi di bilancio; ha cambiato profondamente strategia assumendo la linea della verità, con acutezza, trasparenza, serietà, affidabilità; si è data un management e una governance in sintonia con i tempi. Tra la Fiat prima della crisi e dopo la crisi non vi è quasi più relazione.
Matarrese dice che i club non possono fare le spese richieste dal decreto Pisanu perché non ci sono i soldi.
Ma i soldi ci sono per pagare ai giocatori agli allenatori agli agenti ai trafficanti e traffichini, a tutta la corte di nani e ballerini che sul calcio prosperano, compensi e commissioni assurde. E’ questo il punto che sottolinea anche il Financial Times evidenziando in uno stelloncino che “The clubs prefer to spend large sums on footballers and much less on security in the stadiums”. E chi ha condotto il calcio in queste condizioni finanziarie se non loro, gli assassini del calcio? ed a chi toccherebbe di risanarlo se non a chi guida i club ed il calcio nel suo insieme? O ci deve pensare lo Stato?
Matarrese dice che il calcio è un’industria tra le più importanti d’Italia e ha bisogno di continuare ad operare.
Ed allora bisogna che ci sia qualcuno che gli spieghi che devono decidersi a dire se il calcio è uno sport o un’industria. Non si può giocare una volta una partita ed un’altra una partita diversa, a seconda delle proprie comodità. Perché se è uno sport, l’ampia sfera di autoregolamentazione (che anche recentemente è stata rivendicata con toni persino oltraggiosi nei confronti della Federazione, del CONI e con offese personali nei confronti del commissario del calcio) può essere, entro certi limiti, giustificata. Se è un’industria tale autonomia è totalmente infondata. E ci vuole anche qualcuno che gli spieghi che un’industria, che assorbe continuamente risorse invece che costruire prodotti, servizi e valori utili e positivi, non ha nessun “diritto di continuare ad operare”, ma va fermata prima che i suoi danni diventino irreversibili. Proprio come si deve fare con un’industria che inquina il territorio e l’ambiente, per quanto importante sia.
Matarrese dice anche che le misure che in Inghilterra hanno bloccato e smontato il movimento degli Ultrà non sono un esempio percorribile, perché “quello è un altro mondo”.
Ed allora bisogna che qualcuno gli spieghi che l’Inghilterra è Europa, il continente al quale anche noi ci sforziamo di appartenere. Mi è capitato di scrivere più volte – non da “esaltato” né da “irresponsabile” ma come amante del calcio e persona profondamente consapevole della sua importanza sociale, culturale, economica – che questo calcio va profondamente riformato. A lungo ho nutrito la speranza che potesse essere riformato con la guida dei gestori dello stesso, o almeno dei migliori di essi. E’ una speranza che si è andata via via attenuando e che, in questi giorni, si è definitivamente spenta. Oramai solo il Governo e la legge possono operare. I padroni del calcio sono manifestamente incapaci di collaborare alcunché al risanamento. Quanto più responsabile la posizione di Sergio Campana segretario dell’associazione calciatori che si è dichiarato disponibile ad una sospensione di un anno, per ricostruire. Anche lui un “esaltato” e un “irresponsabile”?
Secondo lei, adesso cosa bisognerebbe fare per salvare il calcio?
Almeno due sono le misure da prendere per dargli un'ultima opportunità:
- A breve subordinare la ripresa dei campionati ad un decreto d’urgenza che contenga tutte le misure di sicurezza e sanzionatorie (non patteggiabili) che gli esperti di sicurezza pubblica suggeriranno e che siano praticamente applicabili
- Contestualmente portare in porto rapidamente una riforma totale dell’ordinamento del calcio sulla base di una legge organica, che faccia tesoro dell’ormai ricco materiale d’analisi e propositivo esistente non solo in Italia ma in Europa.
Come dico da anni questa riforma, per essere seria, dovrà toccare anche l’assetto proprietario e di governance dei club. La maggior parte di loro, infatti, non sono degni neanche di essere “padroni”.