Quasi il 5% dei contribuenti che nel 2003 approfittarono della “rottamazione dei ruoli” escogitata – insieme alle altre sanatorie – dalla finanza creativa del ministro Tremonti hanno ricevuto o stanno per ricevere un minaccioso messaggio dalle esattorie. Pagate ancora o passeremo agli atti esecutivi (che adesso, grazie al decreto legge approvato dal governo il 30 settembre, prevedono anche il sequestro dell’automobile). Che queste richieste siano fondate è però tutto da dimostrare…
Riassumiamo i fatti. Stando alle lamentele ricevute dalle associazioni di consumatori e dalla stessa amministrazione finanziaria, molti contribuenti che a suo tempo avevano aderito alla cosiddetta «rottamazione dei ruoli» (pagando, come previsto dalla Finanziaria 2003, il 25% dei vecchi debiti iscritti a ruolo) stanno ricevendo dai concessionari della riscossione la richiesta di un nuovo pagamento relativo allo stesso debito condonato…
In pratica sembra che in questi casi i concessionari abbiano considerato il 25% già corrisposto come un acconto invece che come un pagamento a saldo. E adesso invitano i contribuenti a pagare il residuo debito (cioè il 75% dell’importo originario) mediante una nuova definizione agevolata che comporta il versamento del 25% di quest’ultima somma. Di fatto facendo così pagare al contribuente, anzichè il 25% previsto dalla sanatoria, quasi il 45%.
Ma è giusto o no pagare? Dipende, ha risposto salomonicamente l’Agenzia delle entrate. Bisogna vedere a quali ruoli si riferisce la richiesta e in che data il contribuente ha effettuato a suo tempo la sanatoria.
In questa materia della rottamazione dei ruoli si sono infatti susseguite diverse disposizioni che hanno spostato in avanti di volta in volta la data entro la quale i ruoli dovevano essere stati consegnati agli esattori per poter fruire della sanatoria.
Per conseguenza, se il contribuente aveva voluto avvalersi della sanatoria relativamente a un ruolo che era stato consegnato al concessionario in un periodo successivo a quello indicato dalle norme applicabili nel giorno del versamento, la sanatoria non poteva operare. Il concessionario non poteva che considerarlo come acconto salvo poi, a seguito della proroga, invitare il contribuente alla definizione del residuo debito attraverso un nuovo pagamento.
Tutto corretto, quindi, in questo caso? Sembrerebbe di sì almeno secondo l’Agenzia delle entrate – che non obietta nulla al riguardo.
Per quanto ci riguarda invece la questione risulta tutt’altro che chiara. Non solo perchè la famosa data di consegna dei ruoli rimaneva del tutto sconosciuta sia al fisco che al contribuente, tant’è vero che la stessa Agenzia ammette ufficialmente – in una risoluzione – che "la data di trasmissione o consegna del ruolo rilevante ai fini della definizione si evince dalla documentazione in possesso del Consorzio Nazionale, predisposta in occasione della consegna del ruolo medesimo" (e quindi neppure l’Agenzia "sa" quando i singoli ruoli siano stati effettivamente consegnati) ma soprattutto perché in base alle regole di quella particolare sanatoria il contribuente poteva aderire solo pagando
nelle mani del concessionario il 25% del vecchio debito
previa sottoscrizione di un apposito accordo. Quindi, i casi sono due: o il contribuente ha pagato la sanatoria sulla base di un atto formale di adesione sottoscritto anche dal concessionario, e allora la responsabilità a nostro avviso è di quest’ultimo, che non può tranquillamente uscirsene dopo anni dichiarando che la sanatoria non era valida e che il contribuente deve ricominciare a pagare. Oppure il contribuente ha di sua iniziativa pagato il 25% di una vecchia cartella alle casse del concessionario senza che questi abbia controfirmato un atto di adesione, e allora è sua la responsabilità dell’errore.
Ma anche in questo caso l’Agenzia non può chiamarsi fuori come se la cosa non la riguardasse perché quanto meno deve ammettere di non avere sufficientemente chiarito, a suo tempo, i requisiti e le modalità di effettuazione del condono, evitando così possibili scelte sbagliate al concessionario o al contribuente. Che adesso non può essere l’unico a pagare. C’è da augurarsi che l’amministrazione finanziaria – spinta dalle associazioni di consumatori, già avvertite della vicenda – dica una parola più chiara al riguardo. Se non altro in applicazione dello Statuto del contribuente, che impone la regola della buona fede tra le parti del rapporto tributario.