Al Teatro dei Conciatori, dall’1 al 13 novembre, va in scena l’amicizia e la complessità femminile con Di and Viv and Rose, tratto dal testo di Amelia Bullmore, in un caleidoscopio di emozioni che tinge di rosa la sala, senza mai scadere nello stucchevole e nella retorica.
Tre ragazze scelgono di andare a vivere insieme per condividere le spese di un appartamento ai tempi dell’Università e si ritroveranno poi a condividere la vita… Sono completamente diverse l’una dall’altra e, d’impatto, si direbbe antitetiche ma forse l’amicizia è proprio questo: un legame che giunge inaspettato e tiene unite le persone più dissimili superando le barriere delle diversità.
Di studia economia e ha la passione per lo sport. E’ apparentemente tosta e indistruttibile ma in realtà è alle prese con la sua omosessualità e con la presenza di una madre ingombrante: quella che indossa è quindi semplicemente una corazza che serve a proteggere una ricca sensibilità d’animo.
Viv studia sociologia e, vestita mai al passo con i tempi, è un topo da biblioteca che sembra avere come unico obiettivo lo studio, mostrando di possedere una forte etica del lavoro. Si direbbe asettica e al riparo da qualsivoglia impatto emotivo, in effetti però, presenta anche lei una complessa emotività che riesce ad uscir fuori solo quando perde il controllo con qualche bicchiere di troppo.
C’è infine Rose, bambina mai cresciuta, frizzante ed entusiasta, spesso frivola ma molto sensibile ed emotiva, che studia arte e si butta a capofitto in ogni cosa e in ogni incontro, perdendo spesso il senso della misura e, alla perenne ricerca di un po’ d’amore, plana con leggerezza e incoscienza sulle cose.
Se per Viv la prima regola di vita è essere in grado di pensare a se stessi concentrandosi senza distrazioni sui propri obiettivi, questa qualità che la rende più matura delle altre ha il proprio rovescio della medaglia in uno spiccato individualismo che la relega spesso nella solitudine. Il problema è che per Viv provare emozioni è un pericolo che può distrarla dalle sue decisioni, farle scoprire le proprie debolezze, e così sceglie di tenersene a distanza tenendo stretto il freno con la conseguenza, di non vivere mai in pienezza.
Per Rose, all’opposto, il primo obiettivo è la condivisione, e la sua fragilità, nel perenne tentativo di compiacere gli altri, sembra quasi andare in pezzi senza l’approvazione altrui. Rose, di certo, di freni dovrebbe averne qualcuno in più ma il suo smodato bisogno di amore, retaggio di una famiglia difficile, la porta ad annullare il proprio stesso valore e, affascinata dall’idea della fusione con il prossimo, non riesce a scegliere alcunché per se stessa ma preferisce far scegliere e farsi scegliere. Ogni uomo che la desidera le dimostra di avere il valore che lei stessa, senza nemmeno accorgersene, non si dà, e sentirsi apprezzata diventa col tempo una droga troppo forte di cui non riesce più fare a meno.
Di, probabilmente, nonostante la corazza con cui ha messo distanza tra se stessa e il suo problema identitario di cui non riesce a parlare con la madre, è quella più in equilibrio, forse proprio perché, più delle altre, si trova a interrogarsi su se stessa, a lavorare per accettarsi e per farsi accettare e a confrontarsi con un problema che la opprime in quegli anni della tarda adolescenza in cui di problemi in genere non se ne hanno o non se ne vogliono avere. Di, tra forza e debolezza, scava nella sua emotività, ci mette mano ed impara quando è bene lasciare andare il freno e quando è meglio lasciarlo inserito. Insomma, potremmo dire che è quella via di mezzo che manca alle altre due. Tra l’emotività negata e quella eccessiva di Rose, Di sposa la giusta misura.
Queste tre ragazze diversissime mescolano le loro diversità grazie all’amicizia, quella vera e profonda che sboccia più facilmente in quegli anni della gioventù in cui ci si sente più facilmente parte di un tutto.
Sul palcoscenico vivono la loro giovinezza, alternando dolori e delusioni a serate di baldoria.
Il regista Antonio Serrano si dimostra abile nel mostrare il crescendo di questo legame e il contemporaneo crescere delle loro giovani vite.
Ad un primo atto, animato da toni da commedia, che corrisponde alla loro esistenza spensierata nella casa comune, corrisponde un secondo atto più tragico che racconta la separazione di queste tre ragazze, ormai donne, dovuta a diverse carriere, a cambi di vita ed eventi più tragici.
Selene Gandini, Caterina Gramaglia e Sara Pallini, le tre attrici, sono bravissime a emozionare, divertire e coinvolgere il pubblico e anche gli uomini presenti in sala applaudono e ridono forte, magari compiaciuti del poter esaminare dall’interno oscure dinamiche del genere femminile, oppure semplicemente divertiti dal sentirsi chiamare in causa nelle chiacchiere da bar o nelle conversazioni più profonde che si succedono sul palco.
Usciamo dal teatro soddisfatti e ancora oggi continuiamo a chiederci come sarebbe andata la storia se Di, Viv e Rose avessero avuto altri caratteri e quanto di quello accaduto in scena sia dipeso dalla loro indole e quanto invece dal destino che, indipendentemente da tutto, a volte sopraggiunge per metterci lo zampino…