Da Bristol a tutto il mondo… il passo è breve. Così racconta la storia di questo artista, amato e odiato come solo le celebrità sanno fare, conosciuto per aver aperto l’arte alle grandi masse oltrepassando le rigide regole del mercato ufficiale: Banksy.
Curata da Acoris Andipa di Andipa Gallery, Stefano Antonelli e Francesca Mezzano di 999 Contemporary, arriva a Roma fino al 4 settembre prossimo a Palazzo Cipolla la mostra dedicata all’ormai noto e seguitissimo street artist inglese, per la prima volta ospitato in uno spazio museale. Forte per non aver in alcun modo sostenuto e contribuito alla realizzazione dell’esposizione capitolina, mantenendo fede dunque alla propria natura artistica, Banksy arriva comunque a mostrarsi grazie al volere e all’impegno della Fondazione Terzo Pilastro Italia e Mediterraneo, presieduta dal Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, che ha voluto e creduto fortemente in questo progetto, la cui preparazione ha richiesto due anni di lavoro durante i quali raccogliere le oltre 150 opere da collezionisti privati in tutto il mondo.
Così si scoprono le tematiche che fanno di Banksy un artista impegnato e contemporaneo: War Capitalism & Liberty racconta con la forza di uno schiaffo in pieno volto e l’immediatezza di un genere artistico unico, la tensione sociale che gli è propria. Messaggi chiari e diretti, quasi come uno spot pubblicitario si è detto, che colgono il cuore del mal sistema che ci governa tutti. La guerra, le sue bombe, i suoi obiettivi; il capitalismo, le sue leggi, i suoi meccanismi di potere; la libertà, a cui aspirare sempre e comunque.
Banksy, il cui volto non si è mai visto, sembra essere nato nel 1974 nella cittadina inglese di Bristol, patria di alcuni tra i più interessanti esponenti musicali: qui è dove sono nati i Massive Attack e i Portishead. Crescendo in un clima artisticamente così vivace, Banksy si trasferisce quindi a Londra dove inizia a farsi conoscere con i suoi primi lavori pubblici ed illegali per le strade della città già sul finire degli anni ’90. Dalle serigrafie alla pittura su tela, dalle sculture alle installazioni, Banksy è considerato oggi il rappresentante primo dell’arte contemporanea, colui che è riuscito a trasformare la melassa stagnante del mercato dell’arte in un nuovo mondo aperto alla ricerca e all’innovazione.
Cosa fa dunque di questo street artist un simbolo per le giovani generazioni? I topi di Banksy, primi fra tutti forse, diventano immagine della sfera più bassa e non considerata della società, i non sentiti, i non visti, coloro che possono correre velocemente nei bugigattoli cittadini senza che nessuno se ne accorga, ma che se solo volessero unendo le forze sarebbero un vero e proprio esercito. Questo è in fondo Banksy: l’artista che esprime le voci, i colori, l’essenza stessa della società meno rappresentata.
Membro assoluto dell’arte di oggi, è una contraddizione vivente: gira per le vie nascosto e coperto sul volto, realizzando opere magnifiche, ma illegalmente. Nel frattempo però le sue quotazioni crescono, inizia a lavorare anche in studio, cosa che lo sconfessa dalla motivazione prima che fa di lui un artista di strada, e realizza opere vendute a prezzi altissimi in un’ascesa di notorietà e apprezzamento che ancora non conosce sosta. Artista illegale che si scontra con la legge, ma insieme artista ricercato da collezionisti internazionali disposti a pagare cifre con molti zeri per un suo anche piccolo lavoro.
“Laugh Now But One Day I’ll Be in Charge” (Ridete adesso ma un giorno saremo noi a comandare) fa dire alle sue scimmiette. Ritrae un poliziotto inglese che fa il dito medio. Fa lanciare mazzi di fiori ad un manifestante. Omaggia un maestro come Warhol nella serigrafia di Marylin/Kate Moss.
Ambivalente e rivoluzionario, Banksy riesce a cogliere gli umori del mondo che lo circonda, a cui egli stesso appartiene; non se ne astrae, ma invece se ne permea. Lascia che a parlare siano le immagini, icone del nostro tempo e mezzi tra i più efficaci nel comunicare. Non c’è retorica in quello che rappresenta, ma ironia e sarcasmo se vogliamo. Le sue bambine con il palloncino a forma di cuore, i soldati su cui si staglia il simbolo della pace, le bombe, ma anche più semplicemente le copertine degli album di gruppi famosi come i Blur di Think tank ad esempio, sono immediatamente riconoscibili come opera sua. Nessuno si scandalizza, tutti invece riescono a cogliere il significato esatto, il messaggio di quanto disegnato. La mercificazione dei motti e dei simboli diventano con le sue opere tangibili: si mostra ciò che è, quello che noi tutti siamo.
Dall’altro lato però, proprio lui che ha fatto di un’attività illecita il suo lavoro, la sua ispirazione, cede il passo ad un sistema fagocitante che può comprare tutto. Può comprare anche la sua arte illegale.
Che si ami o che si odi Banksy è l’esempio vivente di un’arte che torna a respirare, che fa parlare di sé, che crea ammirazione estrema o disappunto. E’ figlio di questo tempo. Vedere una mostra con i suoi lavori, che normalmente sono visibili sui muri delle città o più spesso in internet, appare oggi un passo fondamentale, l’esperienza reale di contatto con un artista popolare e quotatissimo che sta facendo storia.
“A wall is a very big weapon. It’s one of the nastiest things you can hit someone with” (Un muro è una grande arma. E’ una delle cose peggiori con cui colpire qualcuno). Banksy, Wall and Peace