Bertinotti espia le colpe mentre conserva privilegi e SEL, sua nipote politica, si ritrova spaccata a causa di atavici problemi
di Adalgisa Marrocco
Fausto Bertinotti come Jep Gambardella, protagonista del film premio Oscar “La grande bellezza”. «Parlo da vinto, da commentatore […] pensavo che la mia vita, la mia giovinezza, la mia storia familiare, le feste a cui ho partecipato potessero immunizzarmi», dichiara l’ex leader di Rifondazione Comunista a Il Fatto Quotidiano.
La somiglianza tra le due storie è lampante. Nel film, Jep dice: «Io non volevo essere semplicemente un mondano. Volevo diventare il re dei mondani. Io non volevo solo partecipare alle feste. Volevo avere il potere di farle fallire». Mentre, in sostanza, Fausto sembra ammettere: «Io non volevo essere semplicemente il leader delle piazze. Preferivo essere un mondano. Io volevo partecipare alle feste, facendo fallire la sinistra italiana».
Apprezzato il mea culpa, ma biasimato il torto che lo origina. Bertinotti non è assolto e questa redenzione risulta fin troppo tardiva. Responsabile o connivente di quello che ci troviamo a vivere. La rovina della sinistra, il fallimento della politica come incontro cittadino-rappresentante, il trionfo del salotto come luogo antitetico alla piazza.
Bertinotti sostiene poi la scomparsa del socialismo in un panorama politico post-democratico, in un Paese guidato da «un Pd e un leader con tentazioni autoritarie e una luccicante venatura neo-bonapartista». E se un’opinione non si nega a nessuno, non si può fare a meno di sottolineare come il pulpito da cui la critica proviene non sia certo il più legittimato a pontificare.
Se oggi la sinistra è un’entità scissa, frammentata e tormentata, la responsabilità è di chi quella fazione politica l’ha guidata per anni. Bertinotti incluso.
D’altronde, le tardive prese di coscienza di Bertinotti non sono fatto inedito. «Dobbiamo prenderne atto: questo centrosinistra ha fallito. La grande ambizione con la quale avevamo costruito l’Unione non si è realizzata», diceva l’ex leader comunista alla vigilia del fallimento del secondo governo Prodi. Un fiasco politico a cui Bertinotti aveva contribuito in prima persona, declinando di fatto qualsivoglia onere. Rifondazione Comunista supportava politicamente un esecutivo che aveva minato pensioni, assistenza sociale, sanità e lavoro. Nel momento in cui il velo di Maya si era squarciato ed aveva lasciato intendere a Bertinotti gli errori del partito, il sostegno era stato troncato. Quindi, doppiamente irresponsabile.
Insomma, un copione che si ripete identico. Ora che l’ex leader conserva i privilegi da politico ma non ha più un ruolo ufficiale, adesso che anche SEL si è spaccata a causa di problemi atavici. Alla luce di tutto questo, Bertinotti dice la sua. Ma, alla luce di tutto questo, l’espiazione politica ed ideologica non serve che a finire in prima o seconda pagina.