Animali impossibili come in un bestiario medievale, una porta su un universo di bestie immaginarie con tratti antropomorfi, oppure un salto in un laboratorio di genetica sperimentale. Non è un film di fantascienza, si tratta – bensì – di arte contemporanea: l’arte di Vinicio Prizia che, dal 26 novembre fino al 10 dicembre 2016, porta alla ribalta la sua personale Bestiarium corredata di spunti mitologici e visionari, presso la MuefArt Gallery di Roma (Via Angelo Poliziano 78B).
Prizia, romano e residente a Formello, classe 1961, è pittore, incisore e scultore, e la cura del disegno dimostra da subito la perizia di chi è abituato alla figurazione di dettaglio.
Nella sua carriera, che lo ha portato dal 2002 al 2013 a svolgere l’attività di Direttore Artistico e di organizzatore del Centro per l’Incisione e la Grafica d’Arte del Museo dell’Agro Veientano, ha preso parte a numerose rassegne d’arte sia in Italia che all’estero, continuando negli anni ad intessere rapporti con artisti, critici, gallerie e altri centri di cultura artistica, sia italiani e stranieri
Quando gli chiediamo come mai proprio questa scelta di mescolare l’animalesco e l’umano ci risponde che “tutto questo è stato fatto già in passato, nell’arte egizia od orientale per esempio, ma lì gli elementi umani si innestavano nel punto più idoneo: braccia umane ai lati di un busto taurino, testa di scimmia su corpo di uomo, etc. Niente di tutto ciò si vede nelle mie opere che nascono spesso da intersezioni impossibili”.
Sui fondi bianchi delle sue tele, galleggiano esseri incredibili dipinti con colori acrilici. Le figure, assurde e scombinate, posano con dignità davanti all’immaginario di Prizia e di chi guarda. Sembra quasi che il pittore le abbia avute realisticamente davanti a sé mentre le ritraeva, tanta è la precisione del tratto e la dovizia di particolari con cui le rappresenta. Sulle tele di Prizia, queste fiere dell’assurdo acquistano la dignità di esseri unici, campioni superstiti di mondi che permettono l’aberrazione delle regole e il sovvertimento degli schemi, senza mai diventare grotteschi e senza assumere carattere di astrazione.
C’è una serietà in queste opere, nello sfoggio delle pose di questi animali-umani, che richiede a chi guarda la medesima serietà nell’osservare. Sfogliando le incisioni dell’artista – incluse in una cartellina fuori rassegna –, ci rendiamo conto che il vizio di mescolare natura e volti umani, nasce da lontano ed in particolare, rimaniamo incantati dall’incisione La Roccia: apparentemente si tratta solo di sassi e di montagne, ma questo piccolo gioiello di 11,6cm x 15 cm è molto di più. E’ lo scrigno di un mondo fantastico di piccoli volti ed esseri assurdi che animano l’opera solo se la vostra fantasia vi consente di vederli (vi invitiamo a fare il gioco di scovarli voi stessi nell’immagine che riportiamo qui sotto).
Di fatto, gli incroci impossibili di Prizia, sulle sue tele divengono reali, ritratti con estrema dovizia, mai astratti ed evanescenti come in sogni distratti. Gli innesti uomo-bestia ed i travasi bestia-bestia non rendono mai meno riconoscibile, infatti, il progenitore di partenza di questa specie mutante. C’è grandissima attenzione in tutto ciò ed è forse proprio questa la chiave di volta per comprendere le opere dell’artista, che sembra suggerirci, attraverso i volti muti di tanti essere speciali, come ci voglia grande serietà per cogliere la profonda ironia dell’assurdo e una grande precisione di tratto per disegnare l’impossibile rendendolo possibile.
E’ un’arte, quella di Prizia, che si nutre di contrasti, e questi contrasti rendono speciale il suo stile compositivo.
Un cervo ci fissa regale, offrendoci la sua testa come dopo una battuta di caccia, lo sguardo fermo a osservare chi lo scruta. Al posto dell’abituale palco, però, sulla testa, sfoggia due mani aperte a raccogliere la luce, oppure il nostro stupore, eppur non se ne cura.
La testa di un tacchino spunta al posto della coda di un cane. Se questo caro amico dell’uomo ha trovato una singolare coda da sfoggiare, ha però perso la testa da qualche parte, o magari l’ha semplicemente prestata al cane al suo fianco che di teste, invece, ne ha due: forse non disponendo di uno specchio voleva trovare un modo per potersi finalmente osservare dal di fuori e si è rivolto al suo generosissimo compagno.
Galli che come zampe hanno una mano umana, fanno la loro parte in questo zoo che vede pesci con code a forma di piede, immaginifici man-mut composti di mani umane utilizzate per zampe ed orecchie. Accanto a loro, dromedari speculari hanno zampe di sotto e mani sul dorso, e viceversa.
Più le osserviamo e più queste tele sembrano delle antiche tavole figurate con cui, prima dell’avvento della fotografia, gli appassionati si avventuravano nello studio della zoologia. Ed in effetti, i titoli delle opere sono in latino e ricordano antiche nomenclature, vecchi trattati enciclopedici, il retrobottega di impavidi scienziati pazzi alla ricerca di esperimenti clandestini.
Proprio così ci piace pensare a Prizia, come a una sorta di novello dottor Frankestein dell’arte che ci insegna a non temere la mescolanza dell’assurdo e a guardare il reale con gli occhi di chi è pronto ad accettare di prestar fede all’impossibile.