Arriva un po’ in ritardo Gianrico Carofiglio, nella sua giacca a quadretti, e sorride al pubblico, togliendosi il cappotto, mettendo tutti a proprio agio e avvertendo che di parlare e parlare del suo ultimo libro L’estate fredda, edito da Einaudi, così a vuoto, non ne ha voglia.
La trama la si conosce: è quella del maresciallo Pietro Fenoglio che, tra il maggio e il luglio del 1992, al tempo delle stragi di Palermo, si trova ad indagare sulla sparizione di un bambino, figlio del capo di un clan mafioso. Anche la mafia ha le sue regole e Fenoglio da questo fatto capisce che si è giunti ad un giro di boa e che da qui in poi potrebbe accadere qualsiasi cosa finché, inaspettatamente, il giovane boss della mala, che ha scatenato la guerra e che tutti sospettano del rapimento, comincia a collaborare con la giustizia.
Verbali e verbali redatti dalle forze dell’ordine – se da un lato delineano perfettamente il contesto criminale in cui ci si muove – non servono però a restituire tracce del piccolo, così il maresciallo sarà costretto ad inoltrarsi in un territorio dove male e bene si confondono e giusto e sbagliato si sovrappongono pericolosamente, finché poi una luce di speranza squarcia le pagine e l’animo di chi legge…
Inutile aggiungere altro, deve aver pensato Carofiglio. E’ così che preferisce lasciare alle tante persone che sono rimaste in sua attesa nel salotto interno della Libreria-caffetteria Pallotta a Ponte Milvio, la possibilità di interrogarlo e togliersi lo sfizio, magari, di sapere come nasca un prodotto letterario, oppure semplicemente vuole capire da quali spunti siano maggiormente attratti i suoi lettori.
Attende le domande, quindi, ma non con spocchia, semmai con la risolutezza di chi ha voglia di un confronto vivace ma che non si perda negli eccessi e nel superfluo.
Le persone in sala cominciano e piano piano si delinea il quadro del rapporto tra autore ed opera: “un’indagine è pazienza e il mio racconto vuole essere un racconto realistico di polizia giudiziaria che si unisca ad una narrativa che mi auguro troviate avvincente”. A chi gli chiede se Fenoglio abbia connotati autobiografici, ricorda rubando le parole a Madame Bovary che “ciascuno racconta dell’animo umano per come ne fa esperienza”.
E’ ovvio che i suoi trascorsi in magistratura e il suo amore per la musica si trasfondano nell’animo dei suoi personaggi, Guerrieri prima, in questo caso Fenoglio. Anche l’amore per la Puglia, per il Primitivo di Manduria, per la pizza con le alici e l’amore per il mare, sono tratti esistenziali con cui l’autore marchia a fuoco i suoi protagonisti.
Soprattutto, Carofiglio rivela che alla base di ogni suo racconto c’è l’aspirazione di raccontare il mondo di quegli anni secondo un principio di verità. Ecco perché, a chi gli chiede come mai nell’Estate Fredda, bene e male non siano subito riconoscibili, risponde che nella vita reale non è così e che, tantomeno i buoni vincono sempre o i cattivi trionfano sempre. Piuttosto, ricorda il narratore, l’idea è che nel mondo ci siano l’una e l’altra forza a confronto, a volte perfino mescolate, addirittura a braccetto. E’ così che alcune sfumature dei suoi personaggi non sono sempre intuitive dall’inizio ma si colgono con un’analisi più attenta o dopo diverse riletture, un po’ come nella vita ci sembra di conoscere qualcuno per poi comprendere di non conoscerlo affatto…
L’attenzione al reale e alla veridicità della narrazione si percepisce anche nella ricostruzione della vita di caserma. Ben riprodotte sono le stanze dei luoghi di giustizia, la gerarchia, i modi di fare e di interloquire dei militari.
A proposito della tanto cara veridicità, Carofiglio si diverte a far notare un’ovvietà a cui pochi però pensano: “nessuno chiama Commissario un Commissario, nella vita reale, al massimo dottore viene chiamato, per cui se io leggessi un libro in cui qualcuno chiama Commissario un Commissario mi saprebbe di finto e lo chiuderei perché, pur conferendogli un appellativo veritiero, il sistema di coerenza narrativo salterebbe”. L’attenzione al verismo deve spingersi quindi anche alla lingua, se le storie hanno aspirazioni realistiche.
Ma il pubblico è ormai distratto dalla storia: il mestiere dello scrittore prevale nell’immaginario di ognuno e si moltiplicano le domande sulla sua arte narrativa. E’ uguale scrivere un racconto o un romanzo? E come immagina una storia? Quante volte la rilegge? Ha mai la paura di scadere nel banale?
Sorridiamo godendoci l’uomo Carofiglio, pragmatico ma gentile, una persona qualunque che racconta un mestiere che incanta e fa sognare.
Scopriamo che, all’inizio di un nuovo lavoro, delinea solo fine e il principio di ogni storia insieme ad un paio di personaggi, e che reputa fondamentale soprattutto immaginare la fine di un futuro libro perché “ciò consente di non fare alla storia promesse che non vengono mantenute in corso d’opera”.
La coerenza è la sua regola. Quanto a schemi non ne fa e la storia la forma scrivendo, a volte con slancio, altre con la pena di tirare fuori dal proprio viluppo interiore ciò che è ancora solo un’idea. Rilegge le bozze solo a tratti e mai tutte insieme finché il romanzo non è finito. E allora, lì, sgrossa, ripulisce, elimina il superfluo, una volta anche 80 pagine perché, ricorda a ogni giovane scrittore in erba “raggiungere la consapevolezza e il distacco da se stessi è fondamentale per capire se un libro funziona e bisogna avere il coraggio di tagliare laddove non funzioni”.
La presentazione dell’Estate fredda diventa così un modo per conoscere uno scrittore, un mestiere e non solo un libro. Carofiglio oggi ha regalato al pubblico un bel dietro le quinte prima di se stesso e poi del suo ultimo impaginato Einaudi.
Estate fredda
Autore: Gianrico Carofiglio
Editore: Einaudi
Anno: 2016
Genere: romanzo
Pagine: 352
Prezzo: € 18,50
Codice EAN: 9788806227746