Come pietra paziente: un viaggio attraverso il dolore delle donne afghane

Come pietra paziente: un viaggio attraverso il dolore delle donne afghane

In scena al Teatro 7 OFF dal 2 al 5 dicembre e al Teatro Tor Bella Monaca dal 6 al 9 dicembre, Come pietra paziente è tratto dal romanzo “Pietra paziente” di Atiq Rahimi. La regia è di Matteo Tarasco, che ne cura anche la traduzione e la drammaturgia. In scena vediamo Alessia Navarro, Fabio Appetito, Marcello Spinetta e Kabir Tavani.
Il progetto è sostenuto dalla Regione Lazio e vanta il sostegno della Comunità Afghana in Italia, di Nove Onlus Caring Humans, dell’Associazione Carminella, Rising Pari in genere, della Cooperativa Sociale Magliana Solidale e dalla Casa internazionale delle Donne.

In scena al Teatro 7 OFF dal 2 al 5 dicembre e al Teatro Tor Bella Monaca dal 6 al 9 dicembre, “Come pietra paziente”

Di Olimpia Ferrara

Il pubblico si trova dinanzi l’interno di una casa afgana, se ne accorge dai tappeti, dal colore delle pareti, da un quadro appeso al muro che ritrae un combattente che imbraccia un kalashnikov e dalla musica di sottofondo sapientemente curata da Stefano Mainetti. Sulla sinistra il corpo di un uomo inerme disteso su di un lettino. Inevitabile che si attivi nello spettatore un senso di pietà e compassione per quel pover’uomo la cui vita è intrappolata in un corpo immobile. Questo sentimento si acuisce quando compare la moglie, interpretata con straordinaria delicatezza da Alessia Navarro, che ci svela di aver assunto lo stesso ritmo respiratorio del marito e di pregare per lui giorno e notte.

Se ne occupa lei sola: lo lava e lo idrata con gesti rituali tanto che ci sembra stia preparando un morto per la sepoltura. Si respira amore nella loro casa ma qualche crepa comincia a intravedersi. Dalle parole della donna scopriamo che quel corpo che ci sembra così indifeso è stato, e forse tornerà ad essere, il corpo di un uomo che perpetra abusi corporali e psicologici a danno della moglie. Come fa con le perline del rosario mentre prega, la donna snocciola uno a uno tutti gli episodi in cui si è sentita un pezzo di carne, spogliata della dignità e della libertà di scegliere per sé stessa, ci racconta soprattutto gli abusi che riguardano la sfera dell’intimità; così, quella casa che ci sembrava piena d’amore, si trasforma in un carcere tra le cui sbarre si consumano tremende torture giustificate da una cultura che intrappola e soffoca nel sangue ogni moto di autonomia femminile.

Allora, quell’uomo inerme, da vittima, si trasforma in carnefice e la compassione che provavamo all’inizio si trasforma in odio. La guerra arriva nel quartiere dove la donna abita e la paura di essere violentata e mutilata, la spinge a dichiararsi una prostituta. Così, un giovane guerrigliero interpretato con molta sensibilità da Marcello Spinetta, inizia a frequentare la casa della donna e lei, per la prima volta, ha la possibilità di esplorare la sua femminilità e il piacere che ne può scaturire ma, ancora una volta, non si parla di amore, alle donne afghane non è concesso innamorarsi. Matteo Tarasco ci restituisce una messa in scena senza orpelli: cruda, sanguigna, sabbiosa, senza indorarci la pillola e noi rimaniamo inermi e annientati da tanto orrore, proprio come il corpo dell’uomo disteso sul lettino.

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