COSE DA CREDERE. 9.11.89, E’ CROLLATO PER EUTANASIA
(9.11.09) Molti si sono interrogati, in questi giorni, sulle cause della caduta del Muro. Nell’autunno dell’89 non eravamo a Berlino ma nella primavera precedente eravamo stati un po’ di giorni a Mosca, e possiamo dire quello che vedemmo: l’impero era alla frutta. Basti dire che in tutta la capitale non si riuscì a trovare delle pile per far funzionare il nostro registratore portatile. Non è che non ci riuscimmo noi, non ci riuscì la nomenklatura dei sindacati sovietici, di cui eravamo ospiti. L’immenso sforzo di competizione bellica, a cui Reagan l’aveva obbligata, aveva stremato l’Unione sovietica. A Mosca (ma anche in Ucraina, dove pure eravamo andati su un Tupolev che sembrava tenuto con lo spago) non si trovava più nulla. Si trovava, però, un grande desiderio di comunicare, di partecipare. Nelle assemblee di docenti e studenti della bella Università Lomonosov di Mosca (dove eravamo stati invitati a parlare della formula del “sindacato dei cittadini“, di cui nella Uil eravamo stati coautori e che aveva destato l’interesse dei sovietici) ma anche negli incontri con alcuni consigli di fabbrica a Kiev avevamo trovato un grande smarrimento ma anche una grande voglia di cambiare recuperando i valori originari della rivoluzione. Nel crollo del regime totalitario si intravedeva la possibilità di ricostruire un socialismo egualitario e rispettoso dei diritti umani, anche grazie all’aiuto di un nuovo tipo di sindacato di stile occidentale: più conflittuale, non più subordinato al potere politico. La differenza con la primavera di Praga, che pure ci era capitato di vivere, era che lì sognavano di buttare via il socialismo, qui di realizzarlo. Del resto la perestrojka, per come la vedeva Gorbaciov, non era altro che questo, un estremo tentativo di gettare via l’acqua sporca conservando il bambino. Ma la situazione era troppo precipitata perché questi sogni potessero realizzarsi. Gorby fu sostituito dall’Ubriacone salito sul carro armato (come si seppe poi, solo un’occasionale montatura fotografica), arrivò la dissoluzione dell‘Unione e nella nuova-vecchia Russia fu il momento degli oligarchi e della mafia, del “si salvi chi può”, del “chi può si arricchisca con qualunque mezzo e degli altri chissenefrega”. Della società, insomma, alla Putin e alla Berlusconi. I sogni passano, la realtà va avanti. Ma senza le coraggiose utopie di Gorbaciov, senza quella primavera di Mosca non ci sarebbe stato l’autunno di Berlino.
(9.11.09) Molti si sono interrogati, in questi giorni, sulle cause della caduta del Muro. Nell’autunno dell’89 non eravamo a Berlino ma nella primavera precedente eravamo stati un po’ di giorni a Mosca, e possiamo dire quello che vedemmo: l’impero era alla frutta. Basti dire che in tutta la capitale non si riuscì a trovare delle pile per far funzionare il nostro registratore portatile. Non è che non ci riuscimmo noi, non ci riuscì la nomenklatura dei sindacati sovietici, di cui eravamo ospiti. L’immenso sforzo di competizione bellica, a cui Reagan l’aveva obbligata, aveva stremato l’Unione sovietica. A Mosca (ma anche in Ucraina, dove pure eravamo andati su un Tupolev che sembrava tenuto con lo spago) non si trovava più nulla. Si trovava, però, un grande desiderio di comunicare, di partecipare. Nelle assemblee di docenti e studenti della bella Università Lomonosov di Mosca (dove eravamo stati invitati a parlare della formula del “sindacato dei cittadini“, di cui nella Uil eravamo stati coautori e che aveva destato l’interesse dei sovietici) ma anche negli incontri con alcuni consigli di fabbrica a Kiev avevamo trovato un grande smarrimento ma anche una grande voglia di cambiare recuperando i valori originari della rivoluzione. Nel crollo del regime totalitario si intravedeva la possibilità di ricostruire un socialismo egualitario e rispettoso dei diritti umani, anche grazie all’aiuto di un nuovo tipo di sindacato di stile occidentale: più conflittuale, non più subordinato al potere politico. La differenza con la primavera di Praga, che pure ci era capitato di vivere, era che lì sognavano di buttare via il socialismo, qui di realizzarlo. Del resto la perestrojka, per come la vedeva Gorbaciov, non era altro che questo, un estremo tentativo di gettare via l’acqua sporca conservando il bambino. Ma la situazione era troppo precipitata perché questi sogni potessero realizzarsi. Gorby fu sostituito dall’Ubriacone salito sul carro armato (come si seppe poi, solo un’occasionale montatura fotografica), arrivò la dissoluzione dell‘Unione e nella nuova-vecchia Russia fu il momento degli oligarchi e della mafia, del “si salvi chi può”, del “chi può si arricchisca con qualunque mezzo e degli altri chissenefrega”. Della società, insomma, alla Putin e alla Berlusconi. I sogni passano, la realtà va avanti. Ma senza le coraggiose utopie di Gorbaciov, senza quella primavera di Mosca non ci sarebbe stato l’autunno di Berlino.