In occasione della mostra Cross The Streets al MACRO di Via Nizza fino ad ottobre, abbiamo incontrato lo street artist Diamond. Ecco cosa ci ha raccontato di lui, la sua formazione, le sue idee, la sua arte.
Diamond, come nasce il tuo nome d’arte?
Diamond è una sorta di descrizione del mio essere. Quando dipingo e quando disegno ho parecchie sfaccettature. Molti dei disegni che produco non sono neanche simili, sembrano fatti da più persone. Questo sdoppiamento di personalità è quasi un indice di schizofrenia creativa che esteticamente ho voluto associare al diamante, proprio perché multisfaccettato.
Che tipo di studi hai fatto? Come ti sei formato?
Ho avuto la passione per il disegno da subito, ho iniziato prima a disegnare e poi a camminare. Ho frequentato il liceo artistico che mi ha dato davvero delle buone basi e poi sono andato all’Accademia di Belle Arti: qui a parte lo studio dell’anatomia e della storia dell’arte che mi hanno molto appassionato, dal punto di vista della crescita artistica è stato piuttosto frustrante. E’ un mondo che ho trovato talmente senza regole da essere disarmante. Così con il fatto che lavoravo utilizzando gli spray che sono tossici sono andato in altri posti per me più stimolanti, mentre andavo in Accademia solo per seguire alcune lezioni e portare i miei lavori ai professori.
Parlaci dei soggetti delle tue opere
Nasce tutto dal fatto che a casa sono cresciuto in un ambiente arredato da mia madre: lei predilige molto le stampe del periodo liberty e dell’art noveau e così inconsciamente sono cresciuto di fronte a queste immagini che ho fatto mie. Nel corso degli anni ho sviluppato una passione per questo stile storico che abbraccia fine ‘800 e inizio ‘900 e che poi è tornato alla ribalta negli anni ’60 nel periodo psichedelico. Praticamente era già impiantato nel mio modus operandi mentre disegnavo. Poi studiando l’argomento mi sono trovato a riprodurlo in modo del tutto naturale e in pura veste di tributo: mi abbandono spontaneamente a quelle atmosfere aggiungendo qualcosa di mio che le rende più attuali e personali.
C’è un supporto per le tue opere che prediligi?
Dipingo su ogni tipo di supporto, non ho limiti. Sono grafomane e disegno su tutto. Naturalmente più c’è spazio meglio è, più grande è la fatica per realizzare un lavoro e più grande è la soddisfazione.
Come hai cominciato a lavorare?
Sono partito nella totale illegalità. Ora si è trasformato in un vero e proprio lavoro. Ormai ho un ritmo abbastanza sostenuto e tra commissioni e lavori altri sono chiuso su quest’onda. Pongo comunque sempre il mio punto di vista, il mio modo di esprimermi: chi vuole lavorare con me sa che più o meno i compromessi stanno al minimo. Se scegli me è perché vuoi quel tipo di lavoro, altrimenti scegli un altro.
Parlami del famoso lavoro sui tram di Roma
E’ stata un’offerta da parte degli artisti. Si trattava di un progetto di alcuni studenti della LUISS realizzato con Achille Bonito Oliva e prevedeva di far girare la street art e renderla mobile attraverso i tram di Roma. Per me è stato molto divertente, altri miei colleghi invece lo hanno criticato aspramente perché era un’opera non retribuita e che veniva da un’università privata. Per me è stata una splendida occasione dal punto di vista sentimentale, perché quando ero adolescente mi ritrovavo ad intrufolarmi nei depositi dei tram o degli autobus e delle metropolitane e dipingerle illegalmente. Vedere dopo vent’anni che venivo chiamato e accolto in questi stessi depositi, con gli spray pronti, gli assistenti che mi dicevano “prego esprimiti, dipingi” l’ho trovato estremamente divertente, quasi una sorta di rivincita nel tempo. Tra l’altro il 19 è un tram che spacca a metà Roma e io lo prendevo sempre da adolescente per raggiungere i miei amici, quindi riguardava in parte proprio la mia vita. E comunque quando una cosa mi piace, la faccio.
Il tuo arrivo al MACRO per Cross The Streets
Ci sono arrivato tramite una semplice chiamata da parte della casa editrice DRAGO con cui ho già lavorato in diverse occasioni, in particolare da quando è uscito il libro ROMA OMNIA VINCIT edito da Drago appunto. Si sono presi l’impegno di organizzare questo evento mastodontico chiamando in causa un po’ tutta la scuderia della casa editrice, invitando artisti stranieri ed italiani. Ci siamo così trovati con dei tempi strettissimi, cioè 10 giorni, per preparare tutto. L’allestimento è stato curato in piena libertà, naturalmente con il supporto di una curatrice Alessandra Pace. Io anziché optare per un’esposizione classica ossia portare delle mie opere e appenderle sul muro, ho voluto relazionarmi con lo spazio così come mi relaziono con lo spazio della strada ovvero prendere il muro a disposizione e dipingerlo direttamente, quindi ho fatto un site-specific un qualcosa che si potrebbe vedere tranquillamente per strada. Avrà vita breve perché alla fine della mostra verrà cancellato, però l’ho trovato il modo più naturale di esprimermi e di portare dentro al museo quello che faccio veramente. E’ una vanitas, uno dei miei classici temi.
Come hai scelto il soggetto per quest’ultimo lavoro?
Disegno h 24 quindi ho un archivio mentale già definito, non dico di avere già l’idea però la sento dentro da subito, si tratta soltanto di convogliare tutti gli elementi riuscendo a comporre un’immagine, segnarla su carta e poi ridipingerla al muro. Il lavoro per il MACRO in particolare si intitola Sorella Morte. Il significato è a libera interpretazione, mi piace che chi si trova di fronte all’opera si faccia delle domande e che si risponda anche da solo: se tu trovi qualcosa che magari io non ho visto e noto una certa assonanza col mio sentire, mi fa piacere.
Da writer a street artist: un passaggio obbligato?
Il passaggio non è scontato, la maggior parte degli street artist odierni viene da tutt’altro contesto e da altri percorsi, mentre sono in pochi quelli che come me sono partiti in maniera illegale imbrattando le metro e i muri di Roma. A seguito di un episodio che seguì ad un mio intervento artistico su strada, avevo il bisogno di proseguire a esprimermi, ma volevo trovare altri strumenti, modi diversi. Ho scoperto che anziché fare una scritta incomprensibile, come i tag, fare un disegno è differente perché la gente comprende quello che stai facendo. Così ho portato quello che disegnavo tutti i giorni sul muro usando altre tecniche tipo lo sticker o il poster. Quando ho iniziato eravamo solo in due a farlo. Da lì si è scatenato il pandemonio. I writer duri e puri ci criticano molto, mentre in realtà poi la maggior parte del seguito è arrivato grazie a questo “salto” dal writing al disegno con una tecnica del tutto consentita! Il lavoro su strada comunque avvicina le persone a quello che in realtà potrebbero vedere soltanto entrando in una galleria o in un museo: in questo modo invece di portare loro all’opera, portiamo l’opera da loro mettendoli di fronte a questa realtà.
Dalla strada allo studio: come vivi questo cambiamento?
Per me è bellissimo. Io avevo sempre disegnato nella mia cameretta, ma sin da piccolo avevo sognato di riuscire a trovare un posto dove entrare, passare più tempo possibile, zozzarlo e creare continuamente.
Cosa diresti ad un adolescente che vuole seguire il tuo stesso percorso
Imparare a disegnare sicuramente: non si può improvvisare. Certamente ti viene da dentro, hai l’attitudine, hai un certo talento. Però per essere in pace con la propria coscienza bisogna guardarsi allo specchio e dire “ok, io so disegnare”. Molti cavalcano l’onda, ma poi non sono così validi. Chi sa fare faccia, chi non sa fare prima impari!