Intervista a Massimiliano Montesi, esponente Slc-Cgil, Sindacato Lavoratori Comunicazione, da tempo impegnato sul tema dei diritti del lavoro nel difficile e travagliato settore dei Call Center. Un’occasione per parlare dei problemi drammatici di un settore in grave crisi, che dà ancora lavoro a 60 mila persone in Italia ma che, solo nel 2013, ha perso 2 mila addetti e sta morendo per colpa di precariato, delocalizzazioni e indifferenza da parte delle Istituzioni.
1) Delocalizzazioni, precariato, mancanza di trasparenza e rispetto delle leggi, lo scorso 4 giugno i lavoratori dei call center sono scesi in piazza per manifestare disagio e sofferenza. Quali sono le cause della situazione di crisi in cui versa il settore?
Le cause principali sono fondamentalmente due: le gare al massimo ribasso il cui costo è al di sotto di quello previsto dal ccnl (contratto collettivo nazionale di lavoro) e la loro naturale conseguenza, ossia la delocalizzazione all’estero (ma anche in Italia tramite incentivi legislativi della durata di qualche anno) effettuata dalle aziende, per recuperare rispetto ai ribassi previsti dalle gare stesse .
(1 addetto in Italia costa come 3 addetti in Albania)
Così si incentra tutto sulla quantità di traffico evaso e non sulla qualità delle risposte fornite agli utenti, su cui il committente addirittura applica penali se la durata media di una chiamata supera quella stabilita dal bando (in genere dai 3-4 minuti).
Quindi il business non è più dare una risposta soddisfacente ma gestire il più alto numero possibile di contatti, imboccando una strada che porta necessariamente verso l’abisso.
L’ultimo caso è quello relativo alla commessa 020202 Comune di Milano, dove la stessa Asstel (Associazione Datoriale della Aziende di Call-Center) ha sconsigliato ai propri iscritti di partecipare al bando. Invito questo non raccolto da tutti in quanto in tempo di crisi “si prende tutto, poi Dio vede e provvede” e il prezzo lo pagano sia i lavoratori, in termini di occupazione, salari e diritti, sia gli utenti finali, in termini di risposte sempre più parziali.
2) Strategie aziendali che hanno penalizzato i lavoratori, portando vantaggi alla proprietà. È così?
Con questa politica, paradossalmente, anche le stesse aziende di call-center vedono perdere potere contrattuale nei confronti dei committenti sia pubblici (Sogei, Acea, Comune di Roma Inps) sia privati (Telecom, Vodafone Sky, Mediaset,) Con il rischio di veder trasformare la natura stessa dell’impresa di call-center limitandola alla semplice gestione del personale, alla gestione dei turni e delle sostituzioni e al mero controllo sulle presenze abbandonando il contenuto professionale della prestazione.
L’esternalizzazione di un servizio perde di conseguenza il suo scopo iniziale e rimane funzionale al mero abbattimento dei costi.
L’azienda di call-center deve tornare ad essere in grado di dare quel know how in più che la differenzia dal committente, collocando sul mercato quella specializzazione e puntando sull’innovazione e non sul risparmio senza prospettive.
3) Quali sono i numeri del settore?
Ci sono circa 60.000 addetti in Italia di cui il 70% donne e part time, non scelto ma imposto, con salari mediamente di molto inferiori ai 1000 euro. Solo nel 2013 abbiamo perso 2 mila posti di lavoro, senza contare i lavoratori sotto ammortizzatori sociali che sono 20 mila. La situazione è spinosa e tutte le parti in causa, datori-committenti-organizzazioni sindacali e Governo hanno il dovere di trovare soluzioni che vadano nella direzione della salvaguardia dell’occupazione, per non ripetere l’esperienza drammatica che ha visto coinvolto il tessile in Italia trasformando un settore di pregio in grigie lavorazioni con condizioni inaccettabili dentro qualche scantinato.
4) Come sono intervenute le Istituzioni, a livello normativo, in questi ultimi anni nel vostro settore?
Dopo quasi 10 anni di assenza di normative in questo settore, l’ultima la legge in merito è la “Damiano sulle stabilizzazioni 2007”, siamo ormai giunti al bivio: o si interviene a livello legislativo legando nelle gare d‘appalto il costo del lavoro ai parametri contrattuali, oppure le aziende troveranno escamotage sempre più devastanti per i lavoratori pur di aggiudicarsi questo o quell’appalto.
5) Cosa proponete in merito a questo tema?
Gli interventi proposti dalle organizzazioni sindacali al Governo perseguono questi obiettivi:
• migliorare le condizioni di chi lavora nei call center garantendo continuità occupazionale;
• strutturare e consolidare il settore in modo che le aziende riprendano a competere sulla qualità, sull’efficienza e sull’innovazione in modo tale da premiare la meritocrazia e non, come avviene oggi, la spregiudicatezza delle imprese;
Un’altra norma di buon senso a cui le Organizzazioni sindacali stanno lavorando con forti resistenze da parte datoriale, è quella di provare a legare il lavoratore alla commessa, come avviene negli appalti di pulizia e ristorazione.
Questo porterebbe un grande risparmio migliorando l’efficienza del servizio in termini di formazione ed esperienza già acquisita.
Lo stato (e quindi la collettività) risparmierebbe sul costo dell’ammortizzatore sociale al termine della commessa e nelle aziende aumenterebbe l’efficienza. Colleghi con esperienza pluriennale in quella specifica attività, infatti, non disperderebbero il know how acquisito e diventerebbero sempre più professionisti della materia, evitando così, ogni 3-4 anni, di iniziare nuovamente tutto da capo andando ad incidere sulla qualità del servizio al consumatore.
6) Quali sono i possibili scenari se la situazione non dovesse mutare?
In futuro, se l’attuale contesto normativo non dovesse cambiare, il settore è destinato a disgregarsi.
Sostanzialmente bisognerebbe allineare l’Italia agli standard Europei; fare come gli altri Paesi che hanno recepito puntualmente i contenuti della direttiva 2001/23/ce a tutela dei lavoratori.
Tutto ciò deve essere fatto in fretta, il terreno sta franando sotto i piedi e gli ammortizzatori sociali che prima o poi finiranno devono essere un aiuto in una fase di crisi, non la risoluzione del problema.
Marco Bombagi