(2 Marzo 2013) di enzorusso2020
Qualcuno dice che con Renzi il Partito democratico avrebbe vinto alla grande e si sarebbe assicurato la governabilità. Naturalmente non dice come e perché. Secondo me, simile affermazione non ha fondamento alcuno perché non tiene conto del sistema elettorale, del fatto che 11 milioni di elettori si sono astenuti e che, non ultimo, in Parlamento è entrata una nuova forza politica (M5S) che ha raccolto il 25% dei voti espressi. Se si tiene conto di questi semplici dati di fatto allora si capisce perché, al di là della qualità delle rispettive leadership, i due partiti maggiori hanno preso meno voti. Ma chi l’ha detto che la maggioranza parlamentare, ipso facto, assicura la governabilità del Paese?
Lo dicono “autorevoli” commentatori che scrivono sui principali giornali. A mio diverso parere, i risultati attuali sono coerenti con il meccanismo della legge Calderoli. Alla Camera dei Deputati, come previsto, il partito e/o coalizione che ha preso più voti ha un’ampia maggioranza dei seggi. Al Senato no perché lì i premi di maggioranza sono correlati alla popolazione e, quindi, agli elettori delle diverse Regioni. Con questa variante si può verificare che se un partito è più forte nelle regioni più popolose si appropria della parte più consistente del premio di maggioranza. Tale variante è stata introdotta su suggerimento dell’allora Presidente Ciampi in contemporanea all’approvazione della riforma della seconda parte della Costituzione dove si prevedeva la trasformazione del Senato in senso federale. Era prevedibile e previsto che la composizione dei vari premi regionali non assicurasse al Senato una maggioranza omogenea a quella della Camera o viceversa. È questo un difetto della legge elettorale? No, perché è stata consapevolmente voluta così perché allora, nella parallela riforma costituzionale del 2005, era prevista la differenziazione delle competenze del Senato. Infatti, certa dottrina costituzionale da tempo criticava il bicameralismo perfetto (piena parità di competenze e poteri tra Deputati e Senatori) perché il sistema risultava complessivamente lento e perciò poco efficiente. Senonché la riforma costituzionale fu poi bocciata dal referendum popolare dell’ottobre 2006 ma la legge Calderoli rimase e, contrariamente, alle aspettative di chi l’aveva promossa, assicurò a Prodi di vincere le elezioni del 2006. Nel 2008 ha assicurato a Berlusconi un’ampia maggioranza sia alla Camera che al Senato. Paradossalmente poi Berlusconi, per colpa sua, ha perso la maggioranza proprio alla Camera dove inizialmente disponeva di circa cento seggi in più.
La legge Calderoli – come del resto la precedente Mattarella – era stata studiata per assicurare la governabilità e la stabilità del capo del governo. In entrambi i casi non l’ha fatto perché Prodi è stato sostituito da D’Alema nella legislatura 2006-2001, è stato messo in minoranza nel 2008, e Berlusconi è stato sostituito da Monti senza che formalmente fosse stato sfiduciato da nessuna delle due Camere. Ma la stabilità del capo del governo va distinta dalla governabilità – senza trascurare che il sistema maggioritario mal si adatta ad una società pluralista, frazionista, municipalista, poco propensa a tenere nella dovuta considerazione il bene comune.
La legge Calderoli non ha assicurato la governabilità che dipende dalla qualità delle leggi approvate, dall’efficienza ed efficacia degli apparati che devono applicarle, dalla capacità del Parlamento di controllare l’applicazione delle leggi e, non ultimo, dai comportamenti dei cittadini (e/o compliance). Nel caso dell’ultima legislatura hanno giocato un ruolo particolare altri fattori relativi a certi comportamenti del premier. Berlusconi nel 2011 aveva perso ogni credibilità e reputazione sia all’interno sia all’estero.
Mi sembra chiaro pertanto che la governabilità del Paese – correttamente intesa – non dipende direttamente dalla legge elettorale seppure restano alcuni suoi gravi difetti quali l’abrogazione delle preferenze e la mancata previsione di una soglia per accedere al premio di maggioranza. Questa è solo una procedura per eleggere i parlamentari che, una volta eletti, devono comportarsi in maniera onesta, responsabile e trasparente. Ma se poi il governo, in linea di prassi, li espropria delle loro competenze in nome del decisionismo e/o di presunti stati di necessità e se il governo a sua volta è inefficiente ed incapace, se il contenuto e la qualità delle leggi non sono adeguati, se l’amministrazione pubblica è delegittimata e deresponsabilizzata, allora attribuire l’ingovernabilità alla legge elettorale è un escamotage retorico per nascondere le colpe della classe politica ai più alti livelli.
Nonostante gli impegni formalmente assunti nel novembre 2011, i partiti politici principali non sono riusciti o non hanno voluto riformare in senso proporzionale la legge Calderoli tanto deprecata a parole. La richiesta forte veniva avanzata dal c.d. Polo di centro – Casini e Fini ai quali alla fine si è aggiunto Monti con la sua lista civica. Nonostante le perorazioni del Presidente della Repubblica la riforma non è stata varata perché i due principali partiti italiani non sono sicuri di voler abbandonare il sistema elettorale di tipo maggioritario. Ma se lo avessero fatto e se si fosse votato con una legge di tipo proporzionale anche con sbarramento elevato, probabilmente i risultati sarebbero stati peggiori di quelli attuali. E tutti, di nuovo, avrebbero gridato allo scandalo. Ma se così, è bene che gli italiani, prima di lamentarsi, si chiariscano bene quale forma di governo vogliono e quale tipo di legge elettorale ritengono più appropriata per scegliere – ed, eventualmente, revocare – i propri parlamentari. E, soprattutto, capiscano bene quali sono le vere e diverse condizioni che determinano la stabilità del governo e la governabilità del Paese.
di Enzo Russo