I giorni che stiamo vivendo sono perfetti per riscoprire il pensiero di Louis Ferdinand Destouches, meglio noto come Celine. Mentre in Europa si torna ad accogliere l’idea della guerra, all’Ar.Ma teatro di Roma debutta, appunto, “Guerre”, intenso e coinvolgente spettacolo pensato e portato in scena da Ivan Festa e tratto dall’omonimo testo scritto negli anni ’30 e basato sulle drammatiche esperienze personali vissute da Celine durante il primo conflitto mondiale. Per lunghi anni ritenuta persa per sempre, l’opera fu pubblicata postuma solo nel 2022. dal 14 al 16 marzo e dal 21 al 23 marzo Festa presenta al pubblico l’anima sofferente e ironica, disillusa e poetica dell’autore francese per un racconto che lascia il segno e fa riflettere.
Un uomo racconta se stesso ripercorrendo ciò che è stato come in uno strano sogno inquieto, tra buio e silenzi. Un monologo che è anche un monito per gli uomini d’ogni epoca. Senza perdersi in sermoni moraleggianti tuttavia, o giudicare dall’alto di una qualche ipocrita superiorità morale. Il protagonista narra di sé e del mondo lacerato che ha conosciuto e vissuto tra crudeltà e insensatezza, miserie e malvagità. Un inferno a cui è sopravvissuto con mille cicatrici esteriori e interiori e che è in grado di raccontare solo con l’ironia disincantata e il cinismo di chi sa che non c’è spazio per le favole laggiù, dove lo spirito umano si perde e rischia di dissolversi, travolto dal nulla della morte, e può riemergere solo plasmato in qualcosa di diverso, di disperato. “Guerre” parla dell’uomo creatura fragile travolta dalla durezza degli eventi, spinta al compimento di qualunque bassezza solo per vedere un giorno in più.
Buio e silenzio sul palco, a simboleggiare il rumore assordante dei ricordi che aggrediscono la mente. Poi luce accecante, a tratti, che investe il pubblico come il lampo di armi micidiali. E dolce musica che riporta alla spensieratezza della vita in tempo di pace. A piovere su tutto le parole di Destouches che rivivono attraverso la voce di Festa. E così appaiono immagini di emozioni crude e volgari talvolta, ma raccontate con onestà. Storie di lussuria desiderata o strappata al letto d’ospedale, magari con un’infermiera dai denti verdi e “un poderoso paniere da fiamminga”. E poi inganni e ironie triviali, tradimenti e desideri di fuga, e quell’ufficiale infido la cui faccia supera ogni “esperienza in fatto di ribrezzo”, che cercava pretesti per mandare alla fucilazione i soldati.
La vita oltre la guerra, nonostante la guerra. Sono troppi e gravosi i ricordi da mettere in ordine per riuscire a dormire, “per riuscire a fare a pezzi e bocconi qualche ora di incoscienza, per poi precipitare nuovamente in un’infinita sconfitta”. Si prova così ad andare avanti, a fuggire oltre il mare dopo aver ricattato senza remore proprio quell’infermiera che era stata amante fugace e depravata. La partenza come sogno di liberazione da sé, quindi: “I moli sono spariti a poco a poco e l’intera città si è sciolta nel mare. La guerra mi aveva regalato un mare, rombante e rumoreggiante nella mia testa”. Andare via per assaporare quel che resta. “Certo che è enorme la vita, ti ci perdi dappertutto”. Persino dopo aver vissuto la guerra. Le “Guerre”. Sarebbe meglio vivere in pace.