di Elisa Suplina
“Non sono un artista, nemmeno un intellettuale, solo un fotografo” così Helmut Newton quando parlava di sé. In effetti l’universo artistico che estrapoliamo dalla sua opera deriva dalla forte spinta dei suoi scatti, da quello che trasmettono agli occhi dell’osservatore, molto più che da un progetto precostituito di arte. Pur lavorando sempre su commissione, come più volte ha voluto precisare nella sua vita, Newton è riuscito a traslare la fotografia commerciale di moda ad un universo completamente diverso, più profondo forse, capace di indagare ben oltre il volto ed i corpi dei soggetti ripresi.
In occasione del centenario della sua nascita a Berlino nel 1920, posticipata a causa del COVID, il Museo dell’Ara Pacis di Roma ospita fino al prossimo 10 marzo la mostra HELMUT NEWTON. LEGACY curata da Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation, e da Denis Curti, direttore artistico de Le Stanze della Fotografia di Venezia, e promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Marsilio Arte.
Nato in Germania col nome Helmut Neustädter, fuggito in Australia a seguito delle leggi antisemite, la vita del più grande fotografo dell’era contemporanea si svolge poi tra Parigi, Los Angeles, Montecarlo e la nostra Italia tra Capri, Firenze e Roma. Già giovanissimo appare chiaramente il suo occhio familiare con la macchina fotografica, tanto che a soli 16 anni inizia a lavorare come apprendista con la fotografa di moda Yva. Un percorso il suo tutto in ascesa: balzando in breve tempo da una copertina all’altra, la sua fotografia diviene richiestissima, tanto da collaborare con alcuni dei nomi più prestigiosi della moda quali Yves Saint Laurent, Karl Lagerfeld, Thierry Mugler, Chanel.
La mostra suddivisa per decadi presenta il lavoro di Newton dagli anni ’40 e fino al 2000 circa. Gli sguardi, i volti, i dettagli scrutati dall’obiettivo brillante del fotografo sono capaci di irretire il pubblico. Dalle copertine più famose ai ritratti di alcuni dei personaggi più celebri, come dimenticare ad esempio Elsa Peretti vestita da coniglio o Le Smoking scattata a Parigi per la campagna di Yves Saint Laurent, e poi Andy Warhol, David Bowie o Catherine Deneuve. Cosa raccontano dunque questi lavori? La moda sì, gli abiti, i designer, gli stilisti, ma anche i caratteri, le espressioni, i racconti onirici di personaggi catturati come in un’esplosione. La potenza dei corpi, la naturalezza, la mascolinità e l’androginia, la femminilità mai volgare di corpi nudi che fanno della trasgressione newtoniana una cifra innovativa, mai scontata. “[…] È con lui che per la prima volta la fotografia pubblicitaria e di moda abbandonano la dimensione puramente descrittiva, per passare a quella aspirazionale […]”¹. E difatti Helmut Newton, a dispetto di quello che diceva, appare oggi un artista più che un fotografo: il suo sguardo coglie il momento, costruisce una prospettiva nuova, abbandona la moda fine a se stessa e muove verso un contenuto “[…] una riconfigurazione dell’immaginario […]”¹.
LEGACY è una retrospettiva necessaria: all’effimero odierno degli scatti usa e getta, risponde l’opera di un fotografo che ha il valore dell’eternità. E se non è arte questa! L’opera dell’artista è proprio lì dove l’arte sopravvive alla morte, come fanno ancora oggi le sue fotografie.