Presentato alla sede del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo il “Rapporto 2013 – Il mercato e l’industria del cinema in Italia” edito dalla Fondazione Ente dello Spettacolo. Una mattina all’insegna del dialogo su alcuni punti nodali del nostro sistema cinema, in cui esponenti del settore hanno valutato, analizzato e commentato l’andamento di un universo produttivo importante.
Redento Mori, giornalista e curatore scientifico del Rapporto, ha da subito evidenziato quale aspetto più significativo la vitalità del cinema italiano: una realtà che a differenza delle altre forme di spettacolo non ha registrato un regresso. Botteghino e riconoscimenti ne raccontanto bene il funzionamento. Più critico a tal proposito Paolo Protti, Presidente del Comitato di gestione “Schermi di Qualità”, che si pronuncia perplesso: “Andiamo avanti se c’è il prodotto” dice, esprimendo una certa scetticità sulla qualità delle opere di successo. Anche Mario Mazzetti, Reponsabile dell’Ufficio Cinema AGIS si pronuncia piuttosto cauto.
Il 2013 in effetti manifesta nei suoi stessi risultati una varietà di intenti da non sottovalutare: al premio Oscar “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, che amato o meno non può che incarnare un certo cinema autoriale, risponde il film campione di incassi “Sole a catinelle” di Checco Zalone, con i suoi oltre 8 milioni di spettarori e più di 50 milioni di euro registrati al botteghino. Solita questione verrebbe da dire: conta più la ricerca di un autore o il comico dipensatore di denaro…
Si legge nel Rapporto di un “pronto ritorno del film italiano a una quota di mercato del 30%” rispetto alla quale però storce un po’ il naso il Presidente della FICE Domenico Dinoia, che sottolinea come tale percentuale faccia riferimento a pochissimi film, a fronte di un panorama molto più vasto, ma che tende a rimanere nell’ombra soprattutto a causa dei sistemi distributivi. Su quest’ultimo aspetto interviene anche Andrea Occhipinti, Presidente della Sezione Distributori ANICA: “Molti film sono invisibili. Inoltre ormai la stagione si è abbreviata, con le uscite previste solo da ottobre a marzo e l’offerta di lavori troppo spesso simili”.
I dati parlano dunque di un’industria, una filiera capace di portare introiti, meno sofferente di altre e spesso propositiva. Questo si concretizza sempre più anche con il nuovo fronte delle produzioni low budget.
Dato non meno rilevante in questa fotografia del cinema italiano, la chiusura delle sale cinemtaografiche: strutture storiche costrette a chiudere, piegate dai costi di manutenzione troppo elevati e da un tessuto sociale spostato di continuo verso nuovi strumenti di fruizione. Dunque il cinema non più come punto di ritrovo e aggregazione. Questo preme al Direttore del Centro Sperimentale di Cinemtografia Marcello Foti, che vorrebbe una spinta al rilancio, tentando anche di “intercettare il mondo dei giovani, rendendoli parte essenziale dell’elemento produttivo”.
Le questioni pertanto su cui discutere e aprire tavoli di confronto sono tantissime. Di sicuro il cinema in Italia è un valore, oltre che un’industria. Occorre pertanto ispirarsi al lavoro dei grandi maestri che ne hanno fatto la storia, cercando di perseguire la chiave artistica che più ci caratterizza. Vedere che le produzioni nostrane portano guadagni alle casse del paese è necessariamente un aspetto sostanziale, ma forse l’iter che dovremmo proiettare sulla fabbrica dei sogni si rappresenta nella poetica che ci appartiene. Il cinema deve ancora essere capace di muovere l’immaginario del pubblico, arricchirlo, stimolarlo. In questo i dati economici sono un elemento certamente da considerare, ma in taluni casi forse da oltrepassare.