I sogni come porta dell’Altrove…

I sogni come porta dell’Altrove…

Altrove, prodotto dalla Compagnia della Luna e in scena al Piccolo Eliseo da 16 al 27 novembre, è uno spettacolo “delle piccole cose”, come lo ha definito Paola Ponti, regista e ideatrice del testo.

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Parla di piccole cose, in effetti, questa storia, quelle piccole cose che a volte, però, si rivelano anche le più importanti perché coincidono con la vita stessa, in effetti: l’essere dentro o fuori da un gruppo, il rapporto con i propri genitori, il modo in cui ci immaginiamo o con cui ci immaginano gli altri, le maschere che indossiamo per recitare il ruolo che abbiamo scelto o che altri hanno scelto per noi… E poi gli interrogativi, quelli espressi e quelli che non abbiamo il coraggio di porci…

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Per merito della bravura degli attori Massimo de Lorenzo, Constance Ponti e Mario Russo, una triade eccellente di caratteri va in scena, coinvolgendo il pubblico per 70 minuti ininterrotti di risate e riflessioni introspettive: un binomio difficile da coniugare in uno stesso testo ma brillantemente consegnato agli spettatori in sala anche grazie alla scenografia curata da Sonya Orfalian e alla musiche di Alessio Mancini.

Mario è un ragazzo semplice e non ha mai sognato di essere altro, di trovarsi altrove. O forse qualche volta sì, ma poi ha smesso scontrandosi con un contesto che ai sogni lascia poche speranze e preferisce vederli marcire nei cassetti perché a crederci, crederci davvero, ci si potrebbe rendere ridicoli, ci si potrebbe vergognare di se stessi, si potrebbe perdere l’onore… E allora è meglio lasciarli morire, avvizzire un po’ per volta come una pianta che non vede l’acqua quasi mai e spegnersi insieme a loro.

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A sognare di essere altro, di trovarsi altrove, infatti, si rischia. Si rischia l’emarginazione da chi vuole che restiamo ciò che siamo sempre stati, l’emarginazione dal proprio gruppo, addirittura dalla propria famiglia.

Pur senza accorgercene cresciamo etichettati, schiavi dei nostri ruoli, delle aspettative familiari, del nostro contesto d’origine che ci impone un forte controllo sociale e ci obbliga a non discostarci troppo dalle aspettative di chi ci circonda.

Siamo così rassegnati ad essere ciò che ci si aspetta che siamo che spesso non riusciamo ad immaginare niente altro che quello che crediamo di essere nati per fare, niente altro che quello che facciamo già. E al protagonista di questa riuscitissima pièce teatrale accade proprio questo finché non gli viene formulata una banalissima domanda.

Se spesso parliamo e ci inerpichiamo in complicati discorsi perlopiù lo facciamo per noi stessi. Le domande invece scardinano, aprono la porta dell’Altrove, lo aiutano ad essere finalmente immaginato. Saper fare la domanda giusta salva, se chi la riceve si impegna a trovare una risposta.

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E’ così che quel punto interrogativo, lanciato dalla voce squillante della sognatrice Giulie, diventa la chiave di volta del racconto. I tre personaggi gli si aggrappano come ad un cavo sospeso nel vuoto, come a un salvagente in mezzo al mare, come chi inciampa ad una mano tesa.

Da lì tutto potrà stravolgersi o restare immutabile in eterno… dipenderà solo dalla capacità di chi ascolta di accogliere quella domanda, di farla propria, di utilizzarla come volano per cambiare le cose, perché non sempre si è pronti ad andare fino in fondo a se stessi, anzi, a volte è più comodo non trovare risposte: il punto è che cambiare è faticoso… è un po’ partire… è andare altrove…

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