“Walter Bonatti. Fotografie dai grandi spazi”, in mostra nell’area Expo dell’Auditorium Parco della Musica di Roma fino al 31 gennaio 2016, accosta il cittadino assuefatto al tran tran quotidiano delle metropoli contemporanee, a luoghi sperduti e al fascino dell’immensità.
Gli scarponi usati da Bonatti sul Cervino, sia perché parlano di una delle imprese più sofferte dall’atleta, sia perché raccontano chilometri e chilometri compiuti con il solo mezzo di trasporto delle proprie gambe, tra neve e stenti, sono forse il pezzo più emozionante della mostra dedicata all’alpinista ed esploratore bergamasco, morto nel 2011, dopo una vita di scalate avventurose e infaticabili viaggi nei luoghi più remoti della Terra.
Le bellissime fotografie, di grande formato, la cui scelta è stata curata da Alessandra Mauro e Angelo Ponta, in collaborazione con l’Archivio Bonatti, sono, in realtà, perlopiù rievocate dei viaggi svolti come reporter. Alle imprese di montagna del grande Walter è invece riservato poco spazio, in larga parte affidato a dei cimeli, come il casco da ferrata, un vissutissimo giubbotto e dei pesantissimi ramponi, che rendono l’idea dello sforzo che dovevano compiere gli alpinisti nati in periodi in cui la tecnologia dei tessuti e dei materiali non era ancora di supporto allo sport e alla fatica.
Bonatti, dopo essersi avventurato, tra le varie imprese, sul Pilone centrale del Monte Bianco, sull’Aiguilles du Dru, nelle Ande, sul Karakorum, sul K2, a seguito della spedizione sul Cervino che gli valse a soli 35 anni una medaglia d’oro, decise di appendere la piccozza al chiodo.
Nel 1965 prese quindi la macchina fotografica e la mise a servizio del settimanale Epoca per cui girò il mondo in lungo e in largo, imbattendosi in popolazioni indigene, fitte foreste, atolli solitari, aridi deserti, ghiacci perenni, cascate maestose, necropoli dalla spiritualità intrecciata al fascino di culture sconosciute.
Fotografo e, al contempo, soggetto delle sue stesse foto, grazie alle prime forme di autoscatto, Bonatti colloca l’uomo di fronte alla vastità del creato, allo stupore del mondo, e immortala se stesso, le sue imprese e luoghi leggendari. Dalle acque del Nilo Vittoria fino al deserto del Namib, passando per isole indonesiane e i ghiacci dell’Antartide, questi scatti ci regalano un volo rapido su luoghi sperduti che sanno di immenso ed evocano il sublime.
I muscoli scolpiti, il sorriso sempre stampato sulle labbra, l’abbandono a luoghi misteriosi e a volte minacciosi, fanno venire voglia di prendere la valigia e scappare lontano dal ritmo frenetico delle nostre città. Il sapore di queste foto è in fondo il sapore di un invito, alla libertà, alla conoscenza, al tentativo di varcare i propri limiti, a lasciar tutto per seguire l’istinto primordiale che ogni uomo benpensante di questo mondo tarato su casa e lavoro, possiede, ha ereditato, ma non usa.
Bonatti, tacitamente, ci svela quanto siamo assopiti, quante cose rischiamo di perdere rimanendo attaccati alle nostre comodità. In sostanza si può affermare che questa è una personale che sa di libertà e l’allestimento, su fondi neutri e con un’illuminazione capace di valorizzare gli scatti, aiuta il visitatore al raccoglimento, guidandolo in un viaggio nel viaggio, tra stupore e ammirazione, con il sussidio degli strumenti multimediali e di filmati coinvolgenti e accattivanti.