Le grandi storie riescono a coinvolgere lo spettatore tenendolo nell’incertezza rispetto a ciò che sta per accadere sul palco, ma questa magia può concretizzarsi solo se gli attori, banalmente, sono bravi. Chi è di Scena, al teatro della Cometa fino al 7 maggio, appartiene a questa categoria: una grande storia ben recitata.
Un doppio gioco recitativo sottile ed ironico, lasciato trasparire lievemente ma continuativamente durante tutto il viaggio di Chi è di Scena, al teatro della Cometa di Roma fino al 7 maggio. Fin dal titolo l’opera innesca l’equivoco, sotto duplice forma di verità e finzione. Dirimere la controversia e capire chi, sul palco, vesta quali panni è compito dello spettatore anche se, probabilmente, la domanda rimarrà priva di risposta fino all’ultima battuta.
La vivace e surreale prosa di Alessandro Benvenuti, autore e interprete principale, permette alla sua creatura di danzare tra comicità e noir esaltando entrambe queste anime. Accanto al noto attore toscano si inseriscono alla perfezione gli altri due interpreti, Paolo Cioni e Maria Vittoria Argenti, i quali assecondano il ritmo narrativo molto sostenuto di Benvenuti fino ad esaltarne l’effetto, completando un connubio vincente che trascina il pubblico tra risate e sussulti in un susseguirsi di colpi di scena che avranno fine solo alla chiusura del sipario.
Un eccentrico e misantropo ex artista di successo viene visitato dopo anni di esilio volontario da un giovane giornalista nevrotico e insicuro. Lo scopo è un’intervista che si trasformerà diverse volte nel corso del tempo che il giovane trascorrerà in balia delle bizzarrie dell’uomo. I due uomini sono così seduti l’uno di fronte all’altro ma dietro di loro, a pochi passi, si intravede un bellissimo corpo femminile assopito su un sofa.
Niente è quello che sembra, quindi, e il piacevole problema sarà per lo spettatore scoprire quanti livelli di finzione si nascondono dietro i personaggi e i dialoghi. L’unico errore da non commettere sarà presumere di aver compreso, supporre di conoscere. Oppure no, perché proprio in questo modo, cadendo nei tranelli drammaturgici, si potranno assaporare appieno le molte sfaccettature di un’opera che vive diverse vite contemporaneamente, per la soddisfazione della platea.