di Giulio Claudio de Biasio
C’è un collegamento tra realtà e sogno? Le persone che incontriamo, le voci che sentiamo sono solo ricordi che si mescolano senza senso oppure sono dei suggerimenti per risolvere i problemi che ci attanagliano nella vita reale?
Questi sono i dubbi che tormentano Sebastien Zeline, protagonista irrequieto de La profezia – ovvero: l’inconveniente di non essere sé di Riccardo Maggi in scena al Teatro Trastevere fino al 19 Febbraio.
Entrando in sala troveremo gli attori già in scena: siamo nel salotto di una facoltosa famiglia parigina del 1800. Un uomo ben vestito sta dormendo scomodamente su una sedia, tormentato dagli incubi. E’ Sebastien Zeline figlio di un prestigioso notaio di Montmartre. Ad aspettare impazientemente che si svegli c’è la sua fidanzata, Cécile.
Lo spettacolo ha inizio quando Sebastien si sveglia e racconta alla sua amata di aver nuovamente sentito “le voci”. Nonostante i consigli e le raccomandazioni di Cécile, della fedele governante Griffart, e dell’inconsueto dottore Fassbender, l’uomo deciderà di seguire le indicazioni e i suggerimenti avuti in sogno.
Da questo momento il protagonista, a causa della propria (ingiustificata) insoddisfazione, si ritroverà ad affrontare un susseguirsi di vicende improbabili che lo porteranno ad intraprendere un vero e proprio viaggio all’interno di se stesso. Tra cimiteri e prigioni, furfanti e alchimisti lo sbalzeranno di continuo fra realtà e finzione, sogno e verità.
Ne La profezia – ovvero: l’inconveniente di non essere sé viene spontaneo il confronto con le opere di Eduardo de Filippo, nelle quali il protagonista è quasi sempre irrequieto, tormentato e “condannato” nel suo non essere compreso. Anche qui viene utilizzato il meccanismo tipico della commedia degli equivoci, ma in questo caso non è l’estrazione sociale a determinare l’insoddisfazione del protagonista. Il tema centrale dell’opera è il viaggio all’interno della coscienza umana, fatta di buio e luce, bene e male.
Lo spettacolo, che dura poco più di un’ora è diretto egregiamente dal giovane regista Riccardo Maggi. Suo il merito di costruire un racconto ricco di cambi di scena e fluido nella narrazione, con un ritmo incalzante e un’atmosfera giocosa. Nonostante ciò, l’opera inedita scritta da Gianluca Giaquinto risulta contorta, ma con un gran potenziale. Sebbene sia gradevole dare allo spettatore la possibilità di riempire alcuni vuoti narrativi, l’eccessiva presenza degli stessi lo lascia a volte disorientato.
Un plauso va fatto all’indiscusso talento degli attori della compagnia teatrale Oneiron che sono riusciti a rendere i personaggi interessanti e variegati grazie alla loro colorata caratterizzazione. Ottima la perfomance di Domenico Bisazza che ha saputo portare in scena l’inquietudine del protagonista. Piacevolissima la vena comica che il gendarme interpretato da Stefano De Santis e l’imitatore muto interpretato da Tony Scarfi, hanno regalato allo spettacolo.
La scenografia minimale è compensata dal sapiente utilizzo degli spazi da parte degli attori, aiutati nella messa in scena da costumi elaborati con cura e dal notevole utilizzo delle luci. L’opera risulta nel complesso una commedia tragicomica gradevolissima da vedere. Un viaggio introspettivo alla scoperta delle innumerevoli fragilità dell’animo umano. Bravi.