Due uomini nella New York del 1951, Jack Kerouac e Neal Cassady, si rinchiudono alla ricerca del delirio creativo, in una piccola stanza di Ozone Park. Una branda ad un lato e una scrivania dall’altro, aloni di fumo e bottiglie di vino vuote ovunque, e poi un registratore. Questa è l’ambientazione di Tape # 51. Kerouac in scena, al Teatro Trastevere di Roma dal 31 gennaio al 5 febbraio con un testo scritto da Martina Tiberti e la regia di Raffaele Balzano.
Al centro della pièce c’è la scrittura, intesa come atto creativo, liberamente ispirata al romanzo sperimentale, in pieno stile beat generation, Visioni di Cody, scritto tra il 1951 e il 1952 ma pubblicato non prima del 1960. In particolare, oggetto d’attenzione della drammaturgia della Tiberti, è il capitolo dedicato alla trascrizione diretta dei dialoghi allucinati intercorsi tra Kerouac e Cassady sotto l’effetto della marijuana, prima affidati a un mangianastri e poi sbobbinati.
L’esperimento voleva far emergere una scrittura vera, proveniente da una sorta di flusso di coscienza in cui la realtà quotidiana riuscisse a sottrarsi allo scorrere del tempo per restare immortalata e divenire, con gli stilemi della beat, letteratura a sua volta.
L’attimo, sulla scena, è colto mentre Kerouac ha il blocco dello scrittore e tenta, quindi, di sviluppare il suo romanzo, costringendosi, in compagnia dell’amico, nel chiuso di una stanza per tentare la registrazione. Neal non si dimostra altrettanto convinto che questo esperimento possa funzionare. Da parte sua crede che, per scrivere, bisognerebbe visitare nuovi posti e fare nuove esperienze, ma Jack non desiste, pienamente certo che è che proprio quello “il modo in cui viene scritto un romanzo, nella solitudine, nell’ignoranza, nella paura nella sofferenza, nella follia, in un tipo di felicità psicotica che serve da incubatore alla nascita dello stupore”.
La scena è fissa, per cinque notti, su queste discussioni tra Jack e Neil, interpretati da Pietro Pace e Raffaele Balzano, mentre di tanto in tanto si affacciano delle figure allucinatorie, a cui danno corpo e voce Giuseppe Mortelletti e Vania Lai. Le figure sfuggenti e goliardiche di questi personaggi ribelli, riflesso dei due letterati beat, compromettono il fluire dei pensieri, li interrompono, ne minano il senso compiuto già stentato da alcool e stupefacenti, facendo però, al contempo, emergere confessioni che altrimenti non sarebbero state mai fatte.
Uno spettacolo interessante ma non semplice, a volte faticoso da seguire perché corre sul filo dell’astrazione di pensieri non lucidi, che ha il pregio di aver tentato di aprire uno spaccato sulla beat di Kerouac e, al contempo, il limite di confrontarsi con un compito non facile, considerando la difficoltà di tradurre, per tutti, un testo per pochi.