Intorno al dibattito sulla sinistra europea e la “socialdemocrazia globale”
Sul Corriere del 26 gennaio, un articolo di Michele Salvati ha tilato “Se la sinistra europea va oltre la terza via – la sfida di una socialdemocrazia globale”. Nel suo articolo Salvati prende in esame il libro “After the third way”, pubblicato da “Policy Network”, una raccolta di saggi di autori di diverse nazioni europee. Ne riporto qui sotto la parte finale, che condivido, con l’aggiunta che il problema non è soltanto quello di ridefinire una “socialdemocrazia globale” ma anche – e soprattutto – di definirne contenuti ed obiettivi. A tal fine, richiamandomi a quanto ho scritto in precedenza (vedi su: http://www.lucidamente.com/15316-quali-devono-essere-le-finalita-di-una-sinistra-rinnovata/), ritengo che il primo punto da porre nell’agenda politica della socialdemocrazia globale sia la salvezza del pianeta, ossia il futuro dei nostri figli, e dei figli dei nostri figli. Ciò sarà possibile se alla globalizzazione del mercato corrisponderà la globalizzazione della politica ma senza confini di spazio e di tempo. In questo quadro, il primo problema da affrontare è quello della sovra popolazione. Secondo l’ultimo rapporto del WWF, «La popolazione umana entro il 2050 raggiungerà un ritmo di consumo pari a due volte la capacità del pianeta Terra». Insomma dobbiamo andare oltre il concetto di “socialdemocrazia globale” e puntare alla “solidarietà globale” o “nuovo umanesimo”. Finché siamo ancora in tempo.
Particolarmente interesanti le conclusioni dell’articolo di Michele Salvati.
“Raccogliendo… i temi principali e guardando al futuro, alla strategia di una «nuova» socialdemocrazia, i curatori, Cramme e Diamond, mettono al primo posto dell’agenda di ricerca il tema di come il socialismo democratico debba rapportarsi alla globalizzazione, consapevoli che è la globalizzazione sregolata quella che ha condotto al disastro della recessione mondiale del 2007-2009 e pone i maggiori ostacoli a una politica di sinistra, comunque definita. Essi non hanno dubbi che la socialdemocrazia — proprio come ha accettato e seguito il capitalismo nazionale ingabbiandolo una rete di istituzioni che ne hanno corretto le conseguenze più dannose sull’uguaglianza di opportunità dei singoli cittadini e sulla coesione sociale delle comunità — debba fare lo stesso in questa nuova fase, in cui il capitalismo è diventato internazionale e il mondo un villaggio globale. La «piccola» differenza è che la democrazia è rimasta un fenomeno nazionale e una rete istituzionale di controllo non può essere disegnata mediante deliberazione democratica al livello di un singolo Paese, anche del più potente. La rete va disegnata e costruita attraverso accordi tra Stati, e quanto questo sia difficile lo si vede bene oggi, e proprio nell’area in cui la costruzione è più avanzata, l’Unione Europea. Di questo «PolicyNetwork» è consapevole ed è allora sorprendente che alla globalizzazione, alla possibilità e alle istituzioni di una globalizzazione regolata, all’analisi delle difficoltà di accordi interstatali, e in particolare al grande esperimento dell’Unione Europea e dell’eurozona, sia concesso così poco spazio in un libro dedicato al futuro della socialdemocrazia in Europa. Una socialdemocrazia che non ha idee condivise, insieme innovative e realistiche, su questo cruciale problema non può candidarsi come forza politica egemone a livello internazionale e in ogni singolo grande Paese”.