Davvero il matrimonio può essere la tomba dell’amore? Forse. Soprattutto se è scelto come unica alternativa per fuggire da altri problemi. Proprio come hanno fatto Aldo (Silvio Orlando) e Vanda (Vanessa Scalera), alla fine degli anni 60, trovandosi poi di fronte all’inevitabile crisi. Su questo tema e su molto altro ancora si incentra la nuova opera teatrale tratta dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone: Lacci in scena al Teatro Eliseo fino al 11 febbraio.
Si apre il sipario. Un uomo è seduto su una sedia, in penombra. Sullo sfondo una casa dagli arredamenti grigi, monocolore, quasi finti. In mano ha delle lettere. Tante lettere. Di lato, in piedi, illuminata da una luce innaturale, c’è una donna. “Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie”.
Queste parole, che racchiudono rabbia e amarezza, sono l’incipit di un lungo ed intenso monologo, interpretato magistralmente dall’attrice Vanessa Scalera, che racconta al pubblico, come un narratore invisibile, il contenuto drammatico delle lettere che ella stessa ha spedito al marito subito dopo essere stata abbandonata per una donna più giovane.
Sono tante queste lettere, forse anche troppe. Ma l’angoscia di un amore perduto a volte può diventare disperazione, ossessione, follia. Soprattutto quando sono coinvolti anche dei figli. In questo primo quadro, infatti, possiamo riconoscere tutte le sfumature del dolore legate all’amore: dalla richiesta moderata di tornare, alla disperazione più profonda. Dalla rabbia della gelosia che si trasforma, inevitabilmente, in ricatto morale sui doveri del ruolo di padre.
Nella scena successiva facciamo un balzo in avanti di circa trent’anni. Vanda e Aldo sono tornati insieme. Tornano a casa dopo le vacanze e trovano la casa sottosopra. In questo quadro Silvio Orlando dà il meglio di se colorando, come suo solito, il personaggio di una comicità amara e goffa allo stesso tempo. Il rapporto fra i due è chiaramente cambiato, rassegnato e ironico lui, costantemente arrabbiata e maniaca della precisione lei. Fondamentale la comparsa dell’anziano vicino, Nadar, interpretato dall’ormai esperto Roberto Nobile, che farà da spalla alle confessioni di Aldo. L’uomo, infatti, approfittando dell’assenza della moglie, racconta all’amico di famiglia i motivi del suo passato abbandono.
E proprio in questo momento avviene il confronto fondamentale fra i due uomini. Aldo racconta con nostalgia ed entusiasmo dell’amore passionale, inebriante, folle, giovane e spensierato che gli ha fatto mettere in gioco tutto, persino i doveri paterni. E Nadal, che invece sostiene che il vero amore è proprio quello di chi ti sta sempre accanto, di chi ti accetta come sei, senza volerti cambiare, di chi ti perdona. Di chi, in pratica, invecchia con te.
Ancora con questi dubbi nell’aria, veniamo proiettati nell’ultimo e terzo quadro che è ambientato subito dopo la partenza di Aldo e Vanda per le vacanze. In casa questa volta ci sono i figli ormai cresciuti: Maria Laura Rondanini interpreta in maniera efficace, ma forse un po’ troppo meccanica una Anna disillusa, convinta di non voler fare figli per evitargli sofferenze. Pier Giorgio Bellocchio è, invece, Sandro. Un uomo costantemente indaffarato che non riesce ad aver una sola relazione stabile. Entrambi, in seguito alla crisi di famiglia, sono cresciuti delusi e anaffettivi. I due, poco dopo il loro arrivo, cominciano a litigare su come gestire la casa in assenza dei genitori e quello che può sembrare un banale battibecco fra fratello e sorella si trasforma, all’improvviso, in un profondo confronto sui temi dell’amore e della famiglia o meglio di ciò che ne resta.
Lo spettacolo della durata di un’ora e quarantacinque senza intervallo, risente, inevitabilmente, del complesso adattamento teatrale messo in atto dallo stesso Starnone che comunque si conferma, dopo il successo del suo precedente lavoro La Scuola, abilissimo scrittore e drammaturgo. In definitiva, Lacci si può considerare, a più di un anno dalla sua prima messa in scena, un’opera strutturata e completa. Diretta egregiamente in maniera lineare e pulita da Armando Pugliese, risulta essere un vero e proprio spunto alla riflessione sulle varie sfaccettature (del dolore) dell’amore. Da vedere.