Quando la libertà viene negata la fantasia può divenire strumento di ribellione. Al Palazzo delle Esposizioni dal 4 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020 la mostra “Tecniche d’evasione. Strategie sovversive e derisione del potere nell’avanguardia ungherese degli anni ’60 e ’70”. Un viaggio a cura, tra gli altri, di Giuseppe Garrera, nella storia dell’arte contemporanea clandestina in uno dei Paesi più martoriati d’Europa dal regime comunista.
Scatti dall’anteprima della mostra “Tecniche d’evasione. Strategie sovversive e derisione del potere nell’avanguardia ungherese degli anni ’60 e ’70” al Palazzo delle Esposizioni dal 4 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020.
Per intellettuali ed artisti spesso non è facile trovare una via per esprimere creatività e idee. Ancor meno agevole quando la vita del proprio Paese è imprigionata nella gabbia della tirannia. “Tecniche d’evasione. Strategie sovversive e derisione del potere nell’avanguardia ungherese degli anni ’60 e ’70”, al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 4 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020, rappresenta così una chiave di lettura molto interessante per capire i percorsi di resistenza, da parte dell’arte e dei suoi interpreti, rispetto ad un contesto di forte negazione della libertà come quello che caratterizzò l’est Europa negli anni del comunismo.
La mostra, a cura tra gli altri di Giuseppe Garrera, conduce il visitatore attraverso varie sezioni corrispondenti alle molteplici sfaccettature delle avanguardie artistiche ungheresi di quel periodo. L’importanza dell’aspetto ironico nell’artista che veste i panni del giullare per sconcertare e disarmare la protervia dell’assolutismo. Oppure la clandestinità in cui gli intellettuali sono costretti a vivere e lavorare per sfuggire alle rappresaglie e alle persecuzioni. Fino alla sala denominata emblematicamente “Invito alla guerriglia”, dove un cumulo di pietre, i cosiddetti sanpietrini romani, rappresentano un’autentica arma, fuor di metafora, da scagliare contro la tirannia.
Anche del semplice materiale edile può risvegliare infatti la voglia di spezzare le catene del regime, sfidando quella criminalizzazione del dissenso marchio di fabbrica di ogni dispotismo. Nelle sale che ospitano l’esposizione si riflette, mentre lo sguardo si muove da un’immagine all’altra, sul passato e sul presente. Perché se l’arte si evolve e muta assieme al pensiero di chi la crea, lo stesso accade per l’avversione del potere nei confronti della libertà di pensiero. Anch’essa può essere plasmata per risultare meno riconoscibile.
Compito non solo degli artisti, ma anche dei cittadini, è procurarsi i mezzi culturali utili a decifrare la realtà, per comprendere dove si trovi e che forme nuove abbia assunto, oggi, il regime.