di Enrico Masucci
Cosa deve prevalere nel dubbio? La legge o la giustizia?
“L’intimo convincimento del giudice come la più alta forma di giustizia”. Queste parole mi ritornano alla mente (furono pronunciate per giustificare la condanna senza prove inflitta ad Enzo Tortora) leggendo l’ordinanza della Cassazione n. 14252/2014 riguardante un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di un contribuente che, avendo sponsorizzato un gran premio automobilistico, aveva dedotto la relativa spesa qualificandola come pubblicitaria. Il fisco invece l’aveva inquadrata come spesa di rappresentanza; fare la distinzione tra i due termini è come parlare del sesso degli angeli, figuriamoci poi la difficoltà ad inquadrare le fattispecie concrete.
In breve: le spese di pubblicità sono considerate quelle ove a fronte di una prestazione di una parte corrisponde una controprestazione dell’altra, generalmente in denaro e da cui ci si attende un riscontro economico. Le spese di rappresentanza non hanno questa caratteristica del do ut des ma servono solo per dare prestigio alla persona o all’azienda che le sostiene. Se affronto il primo tipo di spesa posso dedurre per intero il costo; se invece affronto il secondo, la riduzione è 1/3.
Torniamo al caso in questione per cercare di capire il retro pensiero dei giudici, che hanno condannato il contribuente affermando che il logo utilizzato ai fini della sponsorizzazione era troppo piccolo per essere visto dal pubblico presente alla manifestazione a fronte di un prezzo molto alto.
Una pubblicità di questo genere però non si esaurisce con la manifestazione e la visibilità del pubblico presente, bensì prosegue con foto sui giornali e con pubblicità di altro tipo che richiamano lo sponsor; ad esempio le aziende che presentano i propri prodotti in tv e concludono dicendo che la loro ditta è sponsor della nazionale italiana, se non lo dicevano non se ne sarebbe accorto nessuno, eppure i soldi per la sponsorizzazione sono stati versati alla nazionale.
Farò un processo alle intenzioni, ma a lume di naso per me l’intimo convincimento è di altra natura: nel campo delle sponsorizzazioni i costi vengono gonfiati rispetto al reale valore della prestazione -quando esista effettivamente- ma in questo caso ci troviamo di fronte al reato di utilizzo di fatture false, evidentemente però non c’erano prove in merito che potessero incastrare gli autori del reato, per cui arrampicandosi sugli specchi e con motivazione discutibile i giudici hanno condannato il contribuente.
A questo punto sorge una riflessione: quali sono i confini della legge e quali quelli della giustizia?