Al Teatro Eliseo fino al 12 febbraio l’immortale opera di Sofocle Edipo Re-Edipo a Colono. Le grandi domande sulla vita e sulla morte che il tragediografo greco pone alle società d’ogni tempo inquietano ancora oggi, grazie alla grande interpretazione di Glauco Mauri, Roberto Sturno e di tutti i bravissimi attori sul palco.
Più si cerca di sfuggire al proprio Fato e più, paradossalmente, ne si facilita l’opera. L’unica cosa assennata da fare è vivere come si può, liberi da ossessioni sulle strade già segnate della nostra esistenza.
Al Teatro Eliseo di Via Nazionale fino al 12 febbraio, con la doppia sapiente regia di Andrea Baracco per l’Edipo Re e di Glauco Mauri per Edipo a Colono, rivive la riflessione del genio narrativo ellenico come monito soprattutto per l’uomo di oggi, convinto d’essere padrone assoluto del proprio destino.
Il magnifico e lacerante monologo dell’anziano e disperato protagonista, ormai errabondo e scacciato da tutti, sul dolore e sul senso della vita, rappresenta uno dei tratti fondamentali dell’opera. Quasi che il viaggio mortale fosse una straziante parentesi di dolore in attesa della cessazione d’ogni male. L’oblio della morte, finalmente.
Un sontuoso Glauco Mauri è il veggente Tiresia nell’Edipo Re e lo stesso monarca decaduto di Tebe nell’Edipo a Colono. Un’interpretazione commovente ed intensa che trasuda passione da ogni espressione. Una prova fantastica viene fornita, tuttavia, dall’intera compagnia con Roberto Sturno su tutti. L’attore si cala nelle vesti del giovane Edipo, Re di Tebe, e trascina il pubblico dell’Eliseo nel dramma di colui che uccise il proprio padre e giacque con la madre.
Sturno e Mauri conducono lo spettatore lungo il sentiero della sofferenza umana con meticolosa attenzione alle sfumature emotive. Un uomo che ha tutto, Edipo: potere, ricchezza e amore. E che, progressivamente, tutto perde sprofondando nell’abisso della verità. Una verità spietata nella sua ironia con gli oracoli, voce degli Dei, nel ruolo di carnefici e crudeli burattinai che si divertono a giocare con le debolezze degli uomini.
Nell’affannoso tentativo di eludere l’inevitabile tutti ricercano una salvezza impossibile, perché gli Dei hanno già deciso. E in questa grottesca e inconsapevole danza i mortali non si accorgono che gli artifizi a volte miseri, come Laio che cerca di uccidere il piccolo Edipo, costituiscono solo temporanee deviazioni da un sentiero immutabile su cui gli sventurati dovranno necessariamente tornare.
L’insegnamento di Sofocle, superbamente tradotto sul palco, è rivolto a tutti quelli che credono di governare la propria vita. Questi, infatti, sono ciechi. Come il giovane Edipo che pur godendo della luce non vede perché non sa. È tale tipologia di cecità che tormenta gli uomini: non vedere se stessi, non conoscere una verità che, ironicamente , quando si disvela rende la persona consapevole ma, proprio per questo, infelice.