Ricordando PPP a quarant’anni dalla morte: colui che giacque sulla rena di un’Italia adattatasi alla degradazione
di Adalgisa Marrocco
Pier Paolo Pasolini e il quarantesimo anniversario del suo brutale assassinio. Pasolini l’intellettuale, Pasolini il provocatore, Pasolini lo scandaloso, Pasolini il genio. Epiteti, formule e frasi fatte affollano il web e i media. Almeno per qualche giorno, PPP diventa attrazione centrale di quella comunicazione di massa che l’intellettuale avrebbe annoverato tra i sintomi in grado di rammentarci che «stiamo vivendo al tempo delle invasioni barbariche».
Un tempo in cui gli uomini parlano e agiscono allo stesso modo, un mondo dove l’omologazione consumistica vince sull’individualità. Pasolini forse ci avrebbe ricordato che l’unica arma di sopravvivenza per il singolo è il rifiuto. «Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali, i pochi che hanno fatto la Storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali», affermava.
In questi giorni, in cui si affollano libri, interviste, servizi giornalistici e omaggi di ogni sorta per il maggiore intellettuale italiano del dopoguerra – come se, in vita e dopo la morte, egli sia stato circondato da frotte di amici, e non da delatori, e come se il suo pensiero sia diventato patrimonio comune e non profetica eresia -, urge una riflessione.
Pier Paolo Pasolini inorridiva di fronte alla strumentalizzazione, alla capacità del potere di asservire gli intelletti. La lucidità e la natura profetica di PPP sulle sorti del nostro Paese sono ormai merito (più o meno) riconosciuto. Oggi, l’estinzione di una cultura autentica e l’avvento dell’immaginario omologato, del “genocidio culturale” sono fatto compiuto. Una standardizzazione del pensiero e delle coscienze che Pasolini aveva individuato e analizzato prima di chiunque altro, definendola “nuovo fascismo”.
Da un articolo dello scrittore datato 9 dicembre 1973: «Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogan mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano; il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione) non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre…».
Di fronte a questa uniformazione, Pier Paolo Pasolini prende posizione contro le ottimistiche idee dei progressisti e di certi intellettuali, contro una classe politica da processare, contro i nuovi centralismi. Egli sopravvive e sceglie il gesto del rifiuto, si rifugia nella sua diversità. E quando Pasolini muore, in quel violento giorno del 1975, il suo corpo giace sulla rena di un’Italia che si sta adattando alla degradazione.