Francesco Piccolo (Il desiderio di essere come tutti, Einaudi) vince, come ampiamente annunciato. Le tante perplessità sul premio.
di Simone Luciani
Non discuterò la validità del libro vincitore del Premio Strega, Il desiderio di essere come tutti di Francesco Piccolo. Né degli altri quattro rimasti a bocca asciutta, eppure meritevoli di finalissima nel premio letterario più atteso dell’anno. E, d’altronde, mi pare bene che delle centinaia di articoli, post, editoriali, interviste usciti in questi mesi, del tema ‘qualità letteraria’ non vi sia traccia. Vi è, piuttosto, fra i più miti e “integrati”, una serie di calcoli sull’editore che avrebbe trionfato (Einaudi), con lo schema di un cronista parlamentare che ragiona su un imminente e combattuto voto di fiducia al governo. Fra chi invece al Premio proprio non crede, spiccano quest’anno articoli assai documentati, come quelli di Pippo Russo su Satisfiction (Antonio Scurati che avrebbe plagiato se stesso) o Gian Paolo Serino su Il garantista (gli agganci di Francesco Piccolo e certe strane manovre per condurlo al trionfo). E trionfo, di Piccolo, è stato. Ma non ho intenzione di parlare nemmeno di questo. Benché, va detto, non mi abbia lasciato indifferente la dichiarazione di Tullio De Mauro, presidente del comitato direttivo del Premio, durante la stucchevole diretta di Rai Tre (autori con l’espressione da stoccafissi che rispondono a domande banali, tempi televisivi degni della prima stagione di Medicina 33, e, tanto per non far mancare la Rai al mercatino del kitsch, una specie di classifica fra i migliori romanzi premiati nella storia dello Strega, con Canale Mussolini che batte Il gattopardo), che ha ammesso che sì, in un recente passato c’erano pacchi di schede che viaggiavano di casa in casa fra i giurati. Né il fatto che Giuseppe Catozzella, con il suo Non dirmi che hai paura, ha ottenuto 57 voti alla prima votazione (in testa, nella fase in cui i romanzi in gara erano 12) e appena 48 in finale, dove i superstiti erano in cinque (curioso che nove giurati si siano pentiti di averlo votato, evidentemente “riscoprendo” qualche altro romanzo in gara…).
Vorrei parlare, invece, del Premio Strega come istituzione. E della sua clamorosa inutilità. Poniamo un caso. Faccio lo scrittore, e decido, colto da un’irrefrenabile volontà di essere intervistato da Rai Tre con domande banali e guardare la telecamera con occhi da stoccafisso, di voler partecipare. Il meno avvertito fra i lettori mi suggerirà: iscriviti. No. Non funziona così. Funziona che una élite non proprio scelta di 400 persone proclama individualmente il titolo di un romanzo che ha particolarmente apprezzato nell’ultimo anno. Se la fortuna ti sorride, e ben due di queste persone segnalano il tuo romanzo, hai diritto a partecipare a una prima selezione. Dopodiché, gli stessi 400 iniziano la serie di votazioni per giungere alla dozzina, poi alla cinquina e infine al vincitore. Domanda: come faccio a far arrivare il mio romanzo a illustri letterati del calibro di (leggo dalla lista…) Lucia Annunziata, Franco Di Mare o Daria Bignardi? E, soprattutto, con quale criterio costoro vengono selezionati dal comitato direttivo, che può fregiarsi della scelta (leggo sempre dalla lista) di Gianni Alemanno, Walter Veltroni, o stando all’attualità politica Dario Franceschini, o stando all’attualità giudiziaria nientemeno che Giancarlo Galan? Non che manchino, va detto con onestà, nomi di scrittori importanti o accademici di chiara fama. O dei tentativi da parte degli organizzatori di rendere un po’ più trasparente il premio. Tuttavia, rimane l’equivoco di fondo: può un premio basarsi esclusivamente sulle relazioni interpersonali, dalla scelta della giuria alla prima selezione dei romanzi alle votazioni (i “pacchi di schede”, appunto)? Sì, mi si risponderà: chi organizza un premio scrive il regolamento come meglio crede. Bene, ma un premio dal criterio lobbystico (o massonico, per citare Fulvio Abbate) può riscuotere una tale importanza nel panorama editoriale italiano? Sì, mi si risponderà di nuovo, se sono gli autori, e ancor di più gli editori, a riconoscerla. Ma se il Premio Strega è ridotto a un Risiko fra le major dell’editoria italiana, non sarebbe più logico premiare semplicemente i romanzi più venduti? Ma così affidiamo tutto al mercato e nulla alla qualità, mi si obietterà. E allora? C’è la minima possibilità che lo Strega sia assegnato al romanzo di una piccola casa editrice, per quanto bello sia? Oppure: quanti sono i romanzi vincitori che sono poi entrati in una qualunque storia della letteratura per licei? E quelli che ci sono entrati lo hanno vinto per la loro qualità, o perché quell’anno il premio toccava al loro editore?
Dunque, trasparenza. O qualità. O, possibilmente, entrambe le cose. Si consenta a chiunque di iscrivere il proprio romanzo, e non agli amici, ad esempio, di Francesco Rutelli (leggo sempre dalla lista). Si scelgano i giurati con criteri chiari, che siano i docenti di letteratura italiana nelle università o nei licei, o gli studenti delle facoltà di Lettere di tutta Italia, o dei cittadini italiani nell’età della ragione estratti a sorte, o come meglio si creda. Non sarebbe più il Premio Strega, mi si farà notare. Appunto…