(13 gennaio 2013) Da LucidaMente
L’eccesso di stati euforici incontrollati può essere il segno di un disturbo psichiatrico, pertanto è bene ridurre i valori elevati di alcuni neurotrasmettitori
Nella Storia della felicità (Garzanti) lo storico dell’antropologia Darrin M. McMahon delinea un contesto culturale dell’Occidente in cui il concetto di felicità cambia con il mutare delle culture che lo hanno prodotto. L’idea stessa di felicità non è stata sempre la stessa. Per gli antichi greci coincideva con la virtù e rappresentava un dono delle divinità, i romani la collegavano al benessere economico e al favore degli dèi, mentre in epoca cristiana l’idea di felicità era connaturata, soprattutto, alla vita dopo la morte e rappresentava il dono più alto della promessa divina.
La felicità è sempre stata al centro e al vertice delle ambizioni umane, uno stato di perfezione cui aspirare. Negli ultimi due secoli l’uomo ha cominciato a considerare la felicità un diritto naturale e non una delle possibilità esistenziali. Il Settecento rappresenta lo spartiacque che porta a maturazione il concetto di felicità in ambito sociopolitico (con fondamenti etici). Nell’età contemporanea, il raggiungimento di essa passa attraverso il consumismo e il benessere economico, che può condurre, però, alla creazione di nuove infelicità. Anche se vi sono basi comuni, ognuno di noi, poi, ha un proprio concetto di benessere e felicità. Ci si può sentire euforici per via delle emozioni che produce l’innamoramento, per via di una vincita al superenalotto o, ancora, per un esame superato brillantemente o per un importante traguardo raggiunto.
Ma cosa succede nel nostro cervello quando ci sentiamo arrivati al (tanto agognato) “settimo cielo”? Quali “interruttori” si accendono e quali aree cerebrali sono maggiormente interessate? Secondo alcuni studi (cfr. Alessandra Gilardini, Il cervello felice, in www.brainfactor.it), quando il cervello riceve sensazioni positive, la corteccia cerebrale reagisce, “accendendo” la cosiddetta area ventrale tegmentale (vta), posta in una porzione del cervello detta mesencefalo. Essa produce dopamina, un neurotrasmettitore che raggiunge in abbondante quantità l’amigdala, ovvero il centro delle emozioni, la corteccia prefrontale e il nucleus accumbens, sistema di neuroni deputato all’elaborazione di sensazioni come la gioia (ma anche la paura o l’effetto placebo) e decodificatore di messaggi contenenti sensazioni positive. Durante una fase di “buon umore”, svolge un ruolo molto importante la serotonina, neurotrasmettitore coinvolto in importanti funzioni biologiche.
L’eccesso di stati euforici non controllati, sia come disturbo monopolare (alternanza di fasi dello stesso tipo) sia come disturbo bipolare, indica, invece, una particolare forma di depressione, caratterizzata dall’alternanza umorale. Gli episodi di euforia patologica (dal greco eùphoros = “che si sostiene facilmente”, quindi “stato di leggerezza e benessere”) sono spesso accompagnati da irritabilità anomala e persistente. Durante questa fase, il soggetto tende a essere entusiasta fino a toccare picchi di felicità estrema. Ci si può sentire infallibili e in grado di risolvere problemi molto complessi e di vecchia data: i ragionamenti, le idee e i progetti possono essere prodotti in continuazione. I discorsi si fanno veloci e spesso confusi, l’eloquio si fa rapido, la voce si alza, mentre la gestualità aumenta in modo teatrale. Si può registrare una diminuzione del senso critico per lasciare spazio all’impulsività e a comportamenti irresponsabili e frenetici (anche per uso di droghe e alcool), come la guida spericolata, le spese folli, il gioco d’azzardo, la vita sessuale sregolata e intensa. A un aumento di energia e di carica positiva si registra un ridotto bisogno di dormire: questo stato euforico può lasciare il posto a uno stato disforico, soprattutto quando l’insoddisfazione e la delusione (per non essere riusciti a risolvere i problemi di cui si riteneva di possedere la chiave di scioglimento) prendono il sopravvento. Sopraggiunge, così, un senso di ingiustizia subìta, di rabbia, di frustrazione e aggressività: il mondo diventa ostile.
La causa del disturbo bipolare può dipendere da un disturbo multifattoriale,nel quale più fattori agiscono insieme per scatenare la patologia. Lo studio degli alberi genealogici dei pazienti (cfr. www.lillysalute.it) ha evidenziato che il disturbo bipolare è una malattia familiare e questo fa ritenere che esista una predisposizione genetica, anche se non è ancora stato individuato un gene specifico. Le ricerche più recenti avvalorano l’ipotesi che non esista un singolo gene responsabile, ma che agiscano contemporaneamente più geni, generando una predisposizione su cui si vanno a inserire fattori scatenanti ambientali e culturali. L’origine del disturbo bipolare è da mettere in relazione con una predisposta vulnerabilità del sistema nervoso. In particolari momenti di stress psicofisico, poi, alcuni soggetti, con un alterato equilibrio dei neurotrasmettitori, possono facilmente precipitare verso una crisi (cfr. Gianfranco Graus, La depressione bipolare, Eclipsi).
Può succedere che durante la fase euforica del disturbo alcuni soggetti sperimentino una sensazione generale di forza e di benessere, che non interpretano in senso patologico. Spesso, chi ha vissuto episodi di euforia, non conclamati e riconosciuti, può ignorare che si tratta, in realtà, dell’altra faccia della medesima moneta e si affaccia il rischio di interpretare questi episodi come un benevolo ritorno alla normalità, dopo un periodo di buio. È, invece, importantissimo riconoscere e trattare questa fase con la massima serietà e attenzione, onde evitare che possa evolvere verso quadri clinici anche molto gravi. Le oscillazioni euforiche del disturbo bipolare aumentano il rischio che il paziente vada incontro a un episodio depressivo, il quale sarà tanto più acuto, quanto più tardi si sarà intervenuti per curarlo. In caso di euforia eccessiva e sospetta, in caso di disturbi umorali patologici, è assolutamente necessario consultare un esperto, prevenendo forme sempre più gravi e resistenti alle terapie.
Bibliografia essenziale – AA. VV., Manuale Merck, in www.msd-italia.it. – Pascal Bruckner, L’euforia perpetua. Il dovere di essere felici, Garzanti, 2001. – Fulvia de Luise – Giuseppe Farinetti, Storia della felicità. Gli antichi e i moderni, Einaudi, 2001. – Alessandra Gilardini,Il cervello felice, in www.brainfactor.it. – Joseph Goldberg – Martin Harrow (a cura di), Disturbi bipolari. Decorso clinico e outcome, Raffaello Cortina, 2000. – Gianfranco Graus, La depressione bipolare. Conoscere ed affrontare il disturbo bipolare: una guida per pazienti e familiari, Eclipsi, 2007. – Darrin M. McMahon, Storia della felicità. Dall’antichità a oggi, Garzanti, 2007.– Matteo Pacini, Disturbi bipolari e ciclotimia, in www.psichiatriaedipendenze.it.
Le immagini: la copertina del libro Storia della felicità di Darrin M. McMahon; una raffigurazione del mesencefalo; un disegno del cervello che mette in rilievo l’amigdala e il nucleus accumbens.
Di Marco Cappadonia Mastrolorenzi
(LucidaMente, anno VIII, n. 85, gennaio 2013)