di Giulio Claudio de Biasio
Quanto tempo occorre alla nostra mente per farci tornare bambini? Poco, davvero poco se ci si ritrova di fronte a dei burattini e a degli abili attori-burattinai. Questo è quello che succede al Teatro Studio Uno, dal 24 novembre al 4 dicembre. La compagnia DivisoPerZero mette infatti in scena una rivisitazione dell’Ubu Re di Alfred Jarry utilizzando pupazzi, fantocci e burattini: L’Ubu Me.
Il Teatro Studio Uno, situato nel cuore del quartiere di Torpignattara a Roma, ci accoglie con un’atmosfera informale e familiare. E proprio in questo contesto, ricco di cultura e voglia di emergere, Francesca Villa e Francesco Picciotti hanno deciso di debuttare con un innovativo progetto teatrale. Insieme hanno riscritto, costruito (letteralmente) e diretto una nuova versione di un classico dell’assurdo, adottando le soluzioni sceniche di un’arte antica e ormai praticata da pochi, quella del teatro di figura.
La scenografia è di fattura artigianale, semplice ma accurata. Al centro della scena troviamo due pannelli di stoffa che “nascondono” quello che poi sarà il vero palcoscenico. Lo spettacolo si apre con una cerimonia funebre celebrata da un inverosimile sacerdote che ricorda le gesta e le “qualità” di Padre Ubu per poi lasciar spazio alla comparsa dei burattini.
I pannelli/sipario si aprono (spostati rigorosamente a mano) scoprendo quello che sarà il vero centro nevralgico della scena. Un grande tronco di cono panciuto fatto di cartapesta e decorato, come tradizione vuole, dalla ormai classica giduglia tipica di Padre Ubu. La spirale adorna l’enorme pancia, che a seconda dei momenti diventa collina, grotta, nave. Una scenografia multiuso che si trasforma rapidamente in atmosfere e luoghi diversi.
E’ sorprendente come bastino pochi minuti per smettere di notare la presenza degli attori in scena che, contrariamente a ciò che è usuale nel teatro di figura, non si nascondono. Nonostante la loro presenza, l’attenzione dello spettatore si rivolge ai burattini che sono i veri protagonisti dello spettacolo.
Ecco quindi che assistiamo al susseguirsi delle vicende di Madre e Padre Ubu che, come nell’opera originale, tramano per uccidere Re Vencenslao e usurpargli il trono. Sorprende l’interpretazione dei due validi attori che, senza esitare, alternano vari timbri vocali caratterizzando i personaggi-burattini che compaiono in scena.
La pièce scorre, anche se con qualche indugio, in maniera gradevole e con un buon ritmo. Gli attori riescono a tener vivo lo spettacolo adottando diverse soluzioni sceniche: silhouette, voci fuori campo, buio. Cuore dello spettacolo è la comparsa del pupazzo principale, Ubu re appunto, che è guidato magistralmente da Francesco Picciotti. La scelta, infatti, di manovrare l’enorme burattino come un ventriloquo è vincente e regala a Padre Ubu un’inaspettata e coinvolgente espressività.
Anche in questa riscrittura, Padre Ubu è un essere immondo, avido e vigliacco e la sua pancia è il simbolo dell’ingordigia umana. Capace di incredibili bassezze e di imprevedibili umori rappresenta la vera natura subdola dell’essere umano, solo che al contrario di altri ostenta tutto ciò con fierezza e orgoglio.
Ubu me è quindi un coraggioso atto di rivisitazione. Un progetto ambizioso che ha lo scopo di dare al teatro di figura nuova luce e visibilità. Nonostante sia evidente come questo percorso sia ancora in fase di sviluppo, va fatto un plauso a Francesca Villa e a Francesco Picciotti che hanno deciso intraprendere, in un tempo come il nostro, la difficile e entusiasmante carriera dell’attore/burattinaio/artigiano.