A metà strada tra Piazza Maidan e Sebastopoli corre la linea di faglia tra Occidente e Russia. Divisioni culturali ed interessi economici si intrecciano tra ovest filoccidentale, agricolo e povero, ed est russofono industriale e ricco. Nel mezzo le contraddizioni politiche di un mondo in cui il concetto di Stato sovrano non esiste più
2° parte – interessi economici e geopolitici. Possibili soluzioni
Il vertice di Ginevra del 17 aprile sulla crisi ucraina ha fatto tirare un sospiro di sollievo, ma la cautela e d’obbligo. Bisognerà vedere se i gruppi radicali di ambo le parti accetteranno il disarmo e quale sarà, inoltre, la via politica che verrà scelta per uscire dall’impasse.
Tensione e scontri nel Paese permangono, così come le divisioni, chiavi di lettura necessarie per comprendere ciò che sta accadendo. Se, infatti, le differenze culturali rappresentano il motore dei cambiamenti in atto, l’economia, se vogliamo, ne è il propellente.
L’80% del gas proveniente dalla Russia, da cui l’Europa dipende per il 30% del proprio fabbisogno, transita attraverso un infinito dedalo di gasdotti, esteso 40 mila chilometri, che attraversa “la terra di confine” come una rete, portando nelle casse di Kiev circa 3 miliardi di dollari l’anno di tasse.
La stessa Ucraina, poi, dipendente in maniera massiva da Mosca per l’approvvigionamento energetico, possiede riserve di gas naturale pari a 1.100 miliardi di metri cubi e proprio nella Crimea secessionista, per la precisione al largo delle coste del Mar Nero, vi sono immensi giacimenti che, secondo stime, dovrebbero custodire tra i 4.000 e i 12.000 miliardi di metri cubi di gas. Un tesoro che fa gola a tutti.
Senza dimenticare le miniere e le industrie concentrate nell’est russofono, in particolare nelle regioni di Dnepropetrovsk e Donec’k, epicentri delle rivolte anti Kiev. L’Ucraina appare divisa in due non solo culturalmente e linguisticamente ma anche dal punto di vista economico, considerando le differenze tra est più industriale e ricco e ovest filoccidentale prettamente agricolo, pur essendo il macrocontesto economico estremamente difficile per un Paese gravato da un enorme debito con l’estero e caratterizzato, negli ultimi anni specialmente, da un deciso calo dell’export e della stessa produzione industriale a causa della crisi.
Viene il sospetto, quindi, che se la Russia riuscisse ad implementare la propria influenza in quella vasta area orientale ucraina ricca di risorse, prima ancora che russofona, all’occidente rimarrebbero solo i conti di Kiev da pagare, a cominciare dalla bolletta del gas, abbastanza salata. Per questo Europa e Stati Uniti spingono sul pedale dell’integrità territoriale.
Se poi aggiungiamo l’avanzata, di questi ultimi anni, della Nato nell’est Europa, dalla Bulgaria al Baltico passando per la Polonia, in territori pericolosamente vicini all’area di tradizionale influenza geopolitica da parte dell’orso russo, ce n’è abbastanza per comprendere come l’Ucraina rischi di divenire la nuova trincea per un Vecchio Continente sempre più vaso di terracotta tra vasi di ferro.
Sopravvive ancora la speranza, però, che la situazione non precipiti definitivamente e che possa prevalere il buon senso. Che le due anime culturali dell’Ucraina facciano valere gli interessi della propria terra su quelli economici altrui. “Si tratta infatti di due popoli slavi, prevalentemente ortodossi che per secoli hanno mantenuto stretti rapporti”, si legge ancora in un passaggio del libro di Samuel Huntington, Lo scontro delle civiltà. “Nonostante la presenza di questioni molto spinose e le pressioni degli estremisti delle due parti, i leader di entrambi i Paesi hanno lavorato per contenere queste dispute”.
Far leva su ciò che unisce, si direbbe, più che su ciò che divide, anche se oggi, tuttavia, sul tavolo permangono poche opzioni possibili. “Una realistica possibilità”, conclude l’analisi, “è che l’Ucraina si spacchi in due distinte entità e che la parte orientale del Paese venga annessa alla Russia”, cosa che in parte già sta accadendo dopo la secessione della Crimea e i fermenti che stanno caratterizzando le altre regioni russofone dell’est.
Oppure che “il Paese resti unito, resti diviso, resti indipendente e sviluppi, in linea generale stretti legami di cooperazione con la Russia. Le questioni di lungo periodo più serie saranno di carattere economico e la loro risoluzione sarà facilitata da una cultura in parte comune”.
Purtroppo la spaccatura politica del Paese sta rischiando di aprire il vaso di Pandora dei conflitti nel mondo ortodosso. Tra Kiev e la Crimea si sta plasmando il futuro dell’Europa e cosa verrà alla fine del percorso dipenderà dalle scelte che verranno prese in queste settimane, ovvero se “la terra di confine” sarà frontiera di dialogo tra mondo ortodosso ed Europa occidentale oppure prima trincea di un confronto fratricida tra popoli slavi.
Eventualità, quest’ultima, che costituirebbe l’ennesimo fallimento per un’Europa condannata ad essere eterno vaso di terracotta.
Marco Bombagi