Fabrizio Bocchino (Gruppo Misto): «La stagnazione si combatte investendo in ricerca e pubblica istruzione»
di Adalgisa Marrocco
Una buona scuola diversa, maggiore attenzione a ricerca ed innovazione, investimenti nel settore sviluppo per uscire dalla stagnazione. Di questo ed altro abbiamo parlato col Senatore Fabrizio Bocchino (Gruppo Misto), vicepresidente della VII Commissione Permanente Istruzione Pubblica e Beni Culturali e ricercatore astrofisico.
– Lei è vicepresidente della Commissione Istruzione Pubblica e Beni Culturali. Al di là degli annunci renziani, quale dovrebbe essere la #buonascuola?
La buona scuola deve basarsi su un modello completamente diverso da quello attuale. Si tratta innanzitutto di un problema di finanziamenti. Gli insegnanti sono sempre più sminuiti in qualità di lavoratori e molte materie sono state messe da parte. Il problema assunzionale della scuola italiana non si risolve semplicisticamente: bisogna collegare domanda e offerta, mentre gli attuali stanziamenti promessi dal governo non bastano a colmare la serie di lacune di cui il sistema soffre. Il problema della mancata stabilizzazione nella pubblica istruzione doveva già essere risolto da anni, infatti molti sembrano dimenticare il problema dei precari storici. Poi, ci sono gli studenti col loro diritto e dovere allo studio, che dovrebbe essere incentivato e garantito dalla riforma.
– Parlando di scuola non si può fare a meno di citare Università e Ricerca: l’Italia è considerato il Paese delle eccellenze non incoraggiate. Su questo fronte, quali sono le prospettive?
Se si continua su questa falsa riga, credo che presto perderemo anche il primato delle eccellenze. Nonostante le statistiche mondiali parlino chiaro e testimonino quanto i ricercatori italiani, sia coloro che partono che quelli che rimangono nel nostro Paese, siano il fulcro della ricerca internazionale, le prospettive non sono affatto rosee. Viviamo di “un’eccellenza di rendita”, accumulata grazie al sacrificio intellettuale dei nostri fiori all’occhiello, ma il beneficio non potrà durare in eterno se non si provvederà a risolvere il duplice problema che attanaglia il mondo della ricerca nostrana: la carenza di investimenti e l’eccessiva burocratizzazione. Le “menti in fuga” saranno destinate ad aumentare, quelli che rimangono si troveranno sempre più in difficoltà nel portare avanti la propria attività perché non c’è meritocrazia e gli incentivi mancano, su ogni fronte.
– In quanto esponente del Gruppo Misto, quali sono i suoi propositi di risposta al governo Renzi per l’anno appena iniziato?
Siamo ben consapevoli che fin quando non sarà messo in campo un nuovo modello di Paese, che investe in ricerca ed innovazione anche sforando i vincoli europei sull’esempio di altri Paesi comunitari, non potrà esserci reale cambiamento. Bisogna ripensare ogni cosa, ripartire da questo tipo di investimenti perché, non sono soltanto funzionali a riqualificare il sistema scolastico ma potranno contribuire anche a portarci fuori dalla crisi. Ci sono studi internazionali che illustrano come nei periodi di crisi economica, la ricetta per il risanamento sia proprio l’uso della spesa pubblica per le opere pubbliche e per l’innovazione. Per quanto riguarda l’anno appena iniziato, non credo che un discorso del genere verrà portato avanti dal governo: la Finanziaria che abbiamo discusso nelle scorse settimane al Senato non presenta alcun punto affine a quanto da me auspicato. Penso che, fin quando la maggioranza rimarrà quella attuale, continuerà a mancare il coraggio, anche di fronte all’Europa. Questo governo non sarà mai in grado di fare scelte drastiche, come quella di sforare i vincoli imposti dalle politiche comunitarie. Questo coraggio dovrebbe essere trovato, tenendo in considerazione il rilancio del Paese attraverso l’aumento della spesa pubblica ai fini della ricerca e dello sviluppo, scelta che contribuirebbe anche a risolvere il problema occupazionale. Costruire un Jobs Act mirato ad incrementare la flessibilità in uscita non fornirà più posti di lavoro. Come ci dimostrano statistiche comparative inerenti le politiche del lavoro dei vari Paesi UE, la flessibilità in uscita non combatte la disoccupazione, ma soltanto l’istruzione e l’innovazione possono contrastare la stagnazione.