Al Piccolo Eliseo La più lunga ora. Memoria di Dino Campana. Poeta, pazzo
“Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita, arsa su la pianura sterminata nell’Agosto torrido, con il lontano refrigerio di colline verdi e molli sullo sfondo.
Archi enormemente vuoti di ponti sul fiume impaludato in magre stagnazioni plumbee: sagome nere di zingari mobili e silenziose sulla riva: tra il barbaglio
lontano di un canneto lontane forme ignude di adolescenti e il profilo e la barba giudaica di un vecchio: e a un tratto dal mezzo dell’acqua morta le zingare e un canto, da la palude afona una nenia primordiale monotona e irritante: e del tempo fu sospeso il corso.”
(Dino Campa – Canti orfici)
Così Dino Campana arriva a noi, tra le parole sussurrate e alle volte gridate, col volto fiero al centro di una scena velata in cui lunghe tende di tulle fanno da sipario tra il poeta e i suoi ricordi. Vinicio Marchioni porta sulle tavole del Piccolo Eliseo fino al prossimo 21 maggio uno spettacolo intimo ed emozionante, che disegna la vita di un uomo nella perenne rincorsa ad una poesia salvifica. Dopo la prima del 2008 ospitata dal Teatro Cometa Off, Marchioni che di questo monografico racconto è autore e regista appare perfetto nelle vesti di un uomo, un artista, costretto per quattordici anni a trascorrere la propria vita in un manicomio. Lui, che dopo il rifiuto di alcuni editori responsabili anche di aver perso il manoscritto originale, era stato in grado di riscrivere per intero i suoi Canti Orfici a memoria, è l’immagine e l’essenza più vera forse di tutto quello che si possa immaginare di un poeta.
Questo Dino Campana compie in scena la ricostruzione della propria vita, rammenta il dolore per le scelte imposte da una famiglia che lo distoglie momentaneamente dal proprio più profondo sentire, i viaggi e gli incontri con gli intellettuali di un tempo perduto ormai e l’amore, quell’eterno, appassionato, veloce e intensissimo amore per Sibilla Aleramo, la sua Rina: “Dino, io e tè ci siamo amati come non era possibile amarsi di più, come nessuno potrà mai amare di più” scrive in una delle tante lettere.
Bellissimo. Si respira nelle parole lentamente pronunciate la violenza ed il turbamento di un sentimento che oltrepassa i confini del comunemente concepito, mentre lascia spazio al privatamente vissuto. Dino Campana è stato un poeta, un grande scrittore, ma soprattutto un uomo capace di sprofondare nelle proprie passioni senza limiti, con il solo ostacolo forse della follia, quella stessa follia che gli ha permesso di essere sé, oltre ogni altrui considerazione.
Vinicio Marchioni è davvero amabile, seduto al centro della scena, circondato dalle carte dei tanti scritti. Dietro di lui l’ombra di Sibilla diviene poi reale nell’interpretazione di una composta e ferma Milena Mancini. Perfetto nella costruzione del racconto anche l’intervento musicale di Ruben Rigillo, tra suoni, rumori, le note di un flauto traverso che accarezza i ricordi.
Uno spettacolo che colpisce per la meravigliosa riscoperta dei sentimenti più puri, anche più devastanti può darsi, ma drammaticamente perfetti. Da vedere e da vivere.