Questa è la storia che non vorremmo mai più sentire, e che invece purtroppo taglia le pagine dei giornali con quel tanto di ipocrisia che così bene distingue la stampa italiana. E’ la storia di un ragazzo che ha vissuto la propria passione facendone un mestiere, oltrepassando le inevitabili facilonerie di chi era pronto a giudicarlo come un sognatore, uno che non sta con i piedi per terra, uno che crede ancora di poter vivere di immagini. Andy – Andrea Rocchelli era un trentenne diverso: lontano dalla massa spesso informe e omologata dei giovani di oggi, capaci solo di lavoro di giorno, incontri e cocktail notturni, impettiti nel loro completo sempre perfetto. Bene a tutto questo Andrea ha sostituito una vita altra, fatta di viaggi in paesi difficili, tra lotte e guerre civili, alcune volte nemmeno raccontate. Qui non siamo ad omaggiare però il clamoroso lavoro di un eccelso fotoreporter, che in questi giorni viene osannato da tutti: Andrea Rocchelli era un fotografo freelance come tanti, dedito al proprio lavoro come tanti, impegnato a voler raccontare con i colori, le sfumature, i volti più brutali del mondo. Com’era capace di fare. Lo stesso ragazzo che tentava di vendere il materiale scattato e oggi incredibilmente amatissimo, ma solo fino a ieri davvero poco interessante, immeritevole di giusta ricompensa.
Sembra assurdo, anzi lo è, questo meccanismo fagocitante per cui qualunque sia la tua attività, giovane dai bei sogni, è bene sempre partire dal presupposto che no, non sarai pagato come pensi: quello che chiedi è troppo. Oggi è il tempo di chi, come si legge nell’articolo di Mauro Villone pubblicato sulla lastampa.it di ieri, muore dopo aver venduto decine di immagini per pochi centesimi: “Alfred Yaghobzadeh […] in Ukraina c’era già stato durante i moti di piazza Maidan. Gli ho chiesto per cosa andare […], a fare che, dopo aver visto il suo ultimo rendiconto, di sue foto vendute da chi ha rilevato la fallita Agenzia Sipa. Centocinquanta Euro per decine di immagini vendute a 98 centesimi. Morire per 98 centesimi?”
Si rimane senza fiato leggendo la povertà e lo squallore di queste realtà. Andrea impiegava le sue giornate registrando con gli scatti le altrui vite strappate. Fotoreporter: si è formato studiando al Politecnico di Milano Visual Design, poi lavorando come assistente di Alex Majoli e quindi fondando nel 2008 il collettivo Cesura con cui ha iniziato l’avventura in giro per il mondo, raccogliendo foto da vendere alle testate giornalistiche. Questo è il fotoreporter. Fa anche un po’ sorridere la miriade di corsi disseminati ovunque per “diventare un fotogiornalista”: diciamolo chiaramente, qualunque scuola si possa fare, la vita del fotografo di guerra per professione è un’altra cosa. L’obiettivo punta alla storia da far conoscere, anche la più disperata, la meno agevole. Di fronte la disgrazia umana, in paesi in cui il minimo per noi pensabile è già tutto, la macchina fotografica diventa uno strumento di conoscenza e comunicazione. Fotografare per informare, proprio come voleva fare Rocchelli e come cercano ogni giorno di fare coloro che abbracciano l’emergenza come misura della propria vita.
Francesca, fotografa per hobby: “Il fotoreporter cerca di congelare un istante. E’ un po’ come il giornalista che deve scrivere un pezzo, anche se la differenza è enorme: le parole dell’uno sono sostituite dalle immagini che devono farti entrare nei suoi occhi con qualche scatto”. Cosa pensa dunque un fotografo di guerra quando è di fronte al rischio, al dramma? Cerca il modo migliore di cogliere il momento, per farlo vivere a chi osserverà il suo lavoro. Dedizione e molto di più. Cosa può spingere dunque un odierno trentenne ad andare in un paese difficile, com’è attualmente l’Ucraina, se non il desiderio profondo di svolgere un servizio per la comunità. Mostrare la storia nella sua autenticità e violenza, filtrata da un obiettivo, ma colta nell’attimo esatto in cui si svolge.
Ad Andrea Rocchelli, ai suoi colleghi, deve necessariamente andare la stima da parte di chi resta e conosce il mondo anche così. Deve andare soprattutto il rispetto di chi con questo mestiere vive: le testate giornalistiche, la TV, i media che si cibano senza scrupoli del lavoro altrui, senza la considerazione dovuta, capaci di sfruttare l’impegno per poi piangere la scomparsa del grande fotografo di turno, fino a ieri solo indegnamente valutato.